Un metodo giusto, forse, una svolta. La Sierra Leone può risorgere
(Siciliani)
«Good luck, mister President!». Uso l’inglese, lingua ufficiale della Sierra Leone, per dire «In bocca al lupo, signor Presidente!». Attendiamo di sapere presto l’esito delle urne e il nome del nuovo Presidente di quella Repubblica africana, dopo il ballottaggio avvenuto sabato. Sarà Julius Maada Bio, leader dell’opposizione, che si dice già sicuro della vittoria, o Samura Kamara, già ministro degli Esteri, che dichiara di essere in testa nello spoglio. Con loro i due partiti principali: il Partito popolare della Sierra Leone (Slpp) e il Congresso di tutti i popoli (Apc), oggi al potere. Prime elezioni senza osservatori internazionali. Una svolta storica? Speriamolo. E speriamo di vedere lo sconfitto accettare il risultato. È l’augurio alla Sierra Leone, nelle ore della Pasqua, adatte a sperare nella risurrezione delle persone e dei popoli.
L’Associazione di cui sono presidente ha lavorato in questo Paese da oltre un anno, applicando un nuovo metodo formativo che, allo scopo di prevenire la costruzione del "nemico", trasforma i conflitti in modelli di sviluppo. Rondine International Peace Lab, che "ex nemici" (ora giovani professionisti) provenienti da circa venti Paesi teatro di guerre, hanno fondato dopo il percorso formativo biennale a Rondine Cittadella della Pace, nei pressi di Arezzo, è un’Associazione che ha applicato in Sierra Leone, a livello politico, il metodo sperimentato sulla propria pelle, convocando la popolazione a liberarsi dalla paura e a entrare in una sorte nuova evitando la violenza.
Anche grazie alla preziosa collaborazione del vescovo Giorgio Biguzzi, emerito di Makeni, che ha avuto un ruolo determinante nella pacificazione del conflitto civile, abbiamo seguito da vicino queste elezioni, nelle cinque regioni in cui è diviso il Paese, che sta attraversando un crinale rischioso, in cui il riacutizzarsi della violenza avrebbe potuto di nuovo trascinarlo nelle tragedie del passato. Le ricordiamo: una guerra civile dal 1991 al 2002 con 50mila morti; una faticosa ricostruzione su cui si è abbattuto Ebola, con altri 4mila morti; il caos e la corruzione, a seguito degli ingenti aiuti, che – come riferisce il New York Times – «ha sottratto oltre 14 milioni di dollari destinati a combattere il virus». Infine, l’ultima tragedia del fiume di fango, alla periferia della capitale Freetown, che ha sommerso centinaia di vite umane, per la deforestazione e l’assenza di pianificazione territoriale. L’Indice di sviluppo umano (Isu) colloca la Sierra Leone – circa sei milioni di abitanti – al 180° posto.
La violenza, dicevamo. Nostre fonti e voci autorevoli ci hanno segnalato negli ultimi mesi molti focolai: «La polizia ha mandato in strada altri 4mila agenti e i diplomatici hanno chiesto la fine della "retorica tribale" dopo almeno cinque violenti incidenti con percosse, lancio di pietre e incendi dolosi» ("The Guardian").
Cooper Inveen e Ruth Maclean, corrispondenti da Freetown, hanno segnalato che «la polizia ha confermato le risse in piazza tra i sostenitori di entrambe le parti e i candidati hanno avuto case e auto incendiate ». «Le linee di battaglia ora sono state disegnate: verde o rosso, nord o sud – ha detto un militante politico nella parte orientale di Freetown – o con noi o contro di noi». La violenza non è esplosa. Un’ottima notizia. Vari motivi l’hanno permesso, dalle strutture civili dello Stato alle forze dell’ordine. Anche la task force di ex nemici membri di Rondine (sierraleonesi del sud e del nord, ma anche libanesi, kosovari, azerbaijani) ha coinvolto circa 700 beneficiari diretti e circa 2,5 milioni indiretti.
Al grido di 'One voice, one vote, no violence' (Una voce, un voto, nessuna violenza), la campagna è arrivata alle periferie più remote della Sierra Leone per favorire un contesto elettorale pacifico e democratico, il rispetto del rivale politico, un voto responsabile e non in virtù dell’appartenenza alla tribù del candidato. Gli ex nemici, autoctoni e stranieri, hanno attraversato i 14 distretti del Paese incontrando le comunità, con tavole rotonde nelle università, usando i media e i social network. Oltre 350 leader delle comunità locali, detentori di grande autorevolezza, hanno ricevuto una speciale formazione. Un esperimento vasto e articolato che dovrà essere ben studiato per verificarne la trasferibilità, ma che, intanto, ha avuto il riconoscimento diffuso di aver contribuito al mantenimento della pace e alla promozione della democrazia. Gli ex nemici, agendo pubblicamente insieme, hanno testimoniato un fatto sconvolgente, accolto con sorpresa: leader e popolazione, incontrandoli, hanno visto la Sierra Leone del futuro. È possibile essere membro fedele alla propria parte (tribù, gruppo, popolo) senza tradirla e, contemporaneamente, appartenere a un soggetto politico più grande (Stato e relazione tra Stati), traducendo il principio fondante la politica, che è l’inclusività.
*Presidente di Rondine Cittadella della Pace