Ogni volta che l’Italia elimina l’imposta sulla prima casa – e solo negli ultimi sette anni l’abbiamo eliminata tre volte – assistiamo allo stesso spettacolo: le più autorevoli istituzioni economiche indipendenti, italiane e internazionali, avvertono che non è una buona idea, ma il governo e il Parlamento vanno comunque avanti, ignorano le critiche e tagliano, sicuri che il Paese è dalla loro parte. I sondaggi (e, quando capita, le urne) gli danno quasi sempre ragione. Quella contro l’eliminazione dell’Imu o di qualsiasi altra imposta sulla prima casa, in Italia, è una battaglia politica per pochi, combattuta da un variegato gruppetto di piccole minoranze che mette assieme liberisti ed ex comunisti. Ci sono pochi dubbi: anche stavolta, come capitò nel 2008 e nel 2013, l’eliminazione dell’imposta sulla prima casa passerà. Anzi, le proposte di emendamento che vorrebbero renderla meno drastica – ad esempio limitando il taglio ai redditi più bassi, come chiede la minoranza del Pd – hanno meno speranze di successo di quelle che puntano ad allargarla.È probabile che passi sia l’emendamento di un gruppo di senatori di Alleanza popolare per eliminare l’imposta anche sulle seconde case date in comodato ai parenti sia quello di Magda Zanoni, senatrice del Pd e relatrice del testo, per evitare il pagamento anche ai divorziati che hanno lasciato l’abitazione famigliare all’ex coniuge. È possibile che il fisco immobiliare ottenga anche qualche altro alleggerimento. Franco Mirabelli, anche lui del Pd, ha proposto di tagliare la cedolare secca sugli affitti al 10%. Non è obbligatorio fidarsi delle ricerche degli economisti – qualche anno fa, quando era ancora ministro dell’Economia, Giulio Tremonti li paragonò ai maghi – ma non si può nemmeno ignorarle. Per quanto riguarda le tasse sulla casa esiste un’abbondante letteratura scientifica che dimostra come sia una delle forme di tassazione meno dannose per la crescita economica di un Paese. Non lo diciamo noi, lo dice, per esempio, l’Agenzia delle Entrate in un approfondimento sull’argomento realizzato lo scorso anno: «Sul piano dell’analisi econometrica, Heady
et al. (2009) hanno evidenziato l’impatto delle varie tipologie di imposte sulla crescita economica, in termini di Pil pro-capite, produttività totale dei fattori e investimenti. I risultati hanno evidenziato che le imposte più distorsive sono le imposte sulle società, seguite dalle imposte sulle persone fisiche, sul consumo, e infine sulla proprietà; in particolare, le imposte ricorrenti sulla proprietà immobiliare». Significa che per spingere la ripresa il governo farebbe bene a ridurre prima l’Ires, poi l’Irpef, quindi l’Iva e solo dopo anche l’Imu. Questa 'gerarchia' delle tasse è ritenuta valida da tutte le principali istituzioni economiche, che infatti condividono anche il giudizio negativo sulla scelta di eliminare l’Imu. In due audizioni in Parlamento, prima settembre e poi a novembre, la Banca d’Italia ha spiegato per esempio che probabilmente l’eliminazione della Tasi avrà effetti limitati sui consumi e si è permessa di notare che «la tassazione degli immobili è molto diffusa nel mondo e in Europa come fonte di risorse per gli enti locali». Nell’ultimo aggiornamento delle sue previsioni economiche, questo lunedì, l’Ocse ha ripetuto che per l’Italia «spostare in modo permanente la pressione fiscale dal lavoro al consumo e alla proprietà immobiliare, e aumentare le tasse ambientali, rafforzerebbe le fondamenta di una crescita più forte, più verde e più inclusiva». Quando a metà ottobre Valdis Dombrovskis, vicepresidente della Commissione europea nonché 'supercommissario' all’Economia, ha detto che Bruxelles intende discutere con il governo italiano sulla scelta di non spostare le tasse dal lavoro a consumi e proprietà, si è preso una rispostaccia da Matteo Renzi: «Spero sia stato il caldo, le tasse da tagliare le decidiamo noi, non Bruxelles». Pier Carlo Padoan, che prima di fare il ministro era il capo economista dell’Ocse e concordava in pieno con la linea del 'tassare più gli immobili e meno il lavoro', qualche settimana fa durante il G20 di Lima ha dovuto dare qualche argomentazione in più rispondendo a un alto funzionario del Fmi che ricordava come la tassazione sugli immobili sia «in genere qualcosa di buono da avere». «Io non la penso così – ha spiegato Padoan –. Perché in Italia l’80% dei cittadini vive in una casa di proprietà. Secondo me e secondo il governo, l’eliminazione dell’Imu ha anche un effetto positivo sulla fiducia e questo è un elemento importante in una fase di ripresa dell’economia». L’argomentazione del 'secondo me' è un po’ debole per un economista ma è più valida per un politico. Questo è il punto: il governo è convinto che questa misura estremamente popolare, l’abolizione della tassa sulla prima casa, possa diffondere ottimismo in una popolazione come quella italiana, che ha una storica passione per il mattone. Siamo uno dei pochi Paesi al mondo in cui i proprietari di casa sono più numerosi dei lavoratori (25,4 milioni contro 22,4 milioni di occupati) e nonostante il prezzo medio sia calato di oltre 20% negli ultimi cinque anni, le case rappresentano ancora circa il 60% della ricchezza delle famiglie.Meglio chiarirlo subito: inutile attendersi che il taglio dell’Imu abbia grandi effetti sull’edilizia o sul mercato immobiliare, entrambi infiacchiti dalla nostra terribile dinamica demografica e da un generale impoverimento delle famiglie (soprattutto quelle giovani). Come ricorda Massimo Bordignon in un articolo in uscita su
Vita e Pensiero, la rivista dell’Università Cattolica, in Italia la ricchezza immobiliare e finanziaria è in mano agli anziani. Finché il denaro non arriverà ai giovani, il mercato della casa, come più in generale tutta l’economia, non potrà ripartire davvero. Ma nell’immediato può essere che il taglio dell’Imu possa produrre – oltre agli ovvi effetti di consenso politico – un generale ritorno di ottimismo su una popolazione così innamorata del mattone. Questo ottimismo potrebbe spingere la ripresa dei consumi, ancora molto debole. In questo senso anche il taglio delle tasse sulla casa potrebbe essere una scelta fiscale 'amica della ripresa', nonostante la teoria economica dica il contrario. Non si può che augurarselo. Sperando allo stesso tempo che una volta incassato il dividendo economico e politico della terza eliminazione dell’Imu il governo si metta a lavorare su un fisco immobiliare più efficiente, che non incoraggi ulteriormente la convinzione nazionale che si può tassare tutto, ma non la prima casa.