Reportage. La serenità della fede in Cina un «avvicinamento» graduale
La Cattedrale del Nord, Bei Tang, una delle quattro storiche chiese cattoliche della diocesi di Pechino
Una croce dorata sovrasta l’ingresso a Xishiku. In fondo al viale le guglie neogotiche della Cattedrale del Nord fanno capolino dai pini. È una luminosa mattina d’inverno alla 'Notre-Dame' di Pechino e un via vai di famiglie e passeggini spinti da nonne premurose attraversano la calma domenicale lasciando alle spalle l’avveniristica urbanità pechinese. Ovviamente in questi giorni il 'clima' è mutato a causa dell’emergenza rappresentata dal coronavirus, ma questo non incide sulle dinamiche religiose e sul rapporto delle persone con la fede. Qualcuno s’attarda davanti all’edicola che espone gli orìgami di carta fatti delle suore prima che il fiume di fedeli all’uscita della prima Messa invada il viale.
C’è anche chi scatta selfie accanto alla sagoma a grandezza reale di papa Francesco. Più avanti all’aperto, tanti, di ogni età, si fermano in ginocchio a mani giunte davanti alla statua della Madonna di Lourdes. I ntanto sotto le slanciate volte della Cattedrale è già un alveare di preparativi per la prossima celebrazione. Chi riordina con cura i fiori, chi distribuisce i foglietti per la Messa, chi scalda la voce per i canti corali. Arrivano in quattrocento e compìti prendono posto tra i banchi mentre in mezzo a un gruppo di ragazzi e ragazze il parroco è intento a impartire disposizioni per le letture. Zhao Onglong, un minuto sacerdote di mezza età, è il parroco di questa viva realtà parrocchiale che si fa largo tra i grattacieli non lontano dalle vestigia imperiali della Città proibita. All’omelia parla dell’importanza della famiglia, partendo da quella di «Nazareth che – ricorda – ci ha portato in dono la nostra fede». Partecipi, tutti cantano e tutti al termine si mettono poi in fila per ricevere la benedizione. Questa non è che una delle così frequentate sette messe che si celebrano qui ogni domenica. Sei in cinese, una in inglese. Gli orari sono esposti fuori in strada in maxischermo.
Intitolata al Salvatore, la Cattedrale del Nord, Bei Tang, come la chiamano, è una delle quattro storiche chiese cattoliche della diocesi di Pechino che insieme costituiscono i quattro punti cardinali attorno a cui si raccoglie la devozione dei fedeli e si muove la vita parrocchiale del popolo di Dio nella capitale degli apparati politici che governano la 'Terra di mezzo'. Seppurela più maestosa delle quattro, Bei Tang viene però dopo la più antica e frequentatissima Xuanwumen, Nan Tang, la Cattedrale del Sud dedicata all’Immacolata Concezione – che all’ingresso ha in bella vista la statua di Matteo Ricci ora in restauro – poi la chiesa dell’Est, Don Tang, costruita in perfetto stile romanico e quella di Xi Tang, la chiesa dell’Ovest, l’unica non fondata dai gesuiti. Bei Tang, come le altre, è monumento nazionale ed è ritornata al suo antico splendore nel 2010 con un investimento del governo cinese di 30 milioni di yuan, circa sei milioni di euro.
A loysius Liu conosce bene la storia di questa chiesa e mentre osserviamo le vetrate colorate con le vite degli Apostoli Pietro e Paolo e dei primi missionari in Cina, racconta che la sua origine è dovuta alla gratitudine di un imperatore: Kangxi della dinastia Qing. Nel 1703 l’imperatore volle così ringraziare per essere stato accudito da due padri gesuiti molto stimati, Jean-Francois Gerbillon e Joachim Bouvet, che si presero cura di lui nel corso di una seria malattia e con le loro conoscenze mediche riuscirono a guarirlo. Davanti alla facciata, due padiglioni in stile imperiale conservano ancora una stele con incisa la calligrafia di Kangxi. La Cattedrale – racconta Liu – subì gravi danni dopo il sanguinoso assedio agli inizi del Novecento e le pratiche religiose vennero ripristinate solo nel 1985. Ma oggi non siamo più ai tempi della Rivoluzione culturale. E questa comunità ecclesiale oggi come tutta la Chiesa in Cina non cerca l’ombra e tantomeno l’oscurità.
Dopo l’accordo tra la Santa Sede e il governo cinese del 22 settembre 2018 gli oltre cento vescovi cattolici cinesi sono tutti in piena e pubblica comunione gerarchica con il Successore di Pietro. Per la prima volta un accordo che ha coinvolto la Repubblica popolare cinese ha riconosciuto di fatto il ruolo del Papa come guida spirituale e gerarchica della Chiesa in un punto che tocca il cuore dell’unità cattolica come è la nomina dei vescovi. Il governo cinese ha siglato il riconoscimento che i vescovi cattolici non sono pertanto commissari di partito imposti dall’esterno e che il legame di comunione gerarchica con il Successore di Pie- tro è per loro un tratto irrinunciabile del proprio ministero. E questo ha tolto ogni consistenza all’idea di costruire una «Chiesa fai-da-te» totalmente assimilata agli apparati politici. È stato il «frutto di un graduale e reciproco avvicinamento», passaggio decisivo di un processo di dialogo sollecitato da almeno tre pontificati. E seppure rimangono sul terreno tanti problemi ancora aperti, contrasti, riconciliazioni, ferite da sanare lungo un processo in corso, questo ha infranto gli stereotipi sulle 'due Chiese' – quella 'fedele al Papa, clandestina' e quella 'legata al governo comunista' – che invece ancora dilagano nella rappresentazione mediatica del cattolicesimo in Cina.
L’area di 7.000 mq dove si trova Bei Tang è anche la sede del vescovo di Pechino, Giuseppe Li Shan. Li Shan ha 55 anni, è diventato sacerdote nel 1989 e la sua ordinazione episcopale, avvenuta nel settembre 2007, ha rappresentato un fatto importante nel cambio di scenario. È stato infatti uno dei vescovi eletti in quegli anni con il consenso 'convergente' del governo di Pechino e della Santa Sede: prima della sua ordinazione episcopale, era arrivato dal Vaticano anche il riconoscimento di Papa Benedetto XVI, che gli aveva concesso il mandato apostolico. Per il vescovo di Pechino l’accordo Santa Sede-Repubblica popolare cinese sulle nomine epi- scopali è stato reso possibile dalla fedeltà sostanziale alla fede apostolica, mai venuta meno nella Chiesa cattolica in Cina, anche negli anni in cui gli apparati governativi spingevano le diocesi a selezionare i vescovi senza il consenso della Santa Sede. «S ul piano della fede – ha affermato il vescovo Li Shan – la Chiesa qui è uguale alla Chiesa cattolica di qualsiasi altro Paese del mondo. E adesso – ha proseguito – è orientata a trovare vie di testimonianza e prassi ecclesiali appropriate per annunciare il Vangelo nel contesto politico, sociale e culturale cinese, così come attualmente esso è, nelle condizioni di oggi, nella piena fedeltà alla fede degli Apostoli e in piena e pubblica comunione gerarchica con il Vescovo di Roma». Per questa via – ha rimarcato – si cercano i modi più appropriati per annunciare il Vangelo nell’attuale società cinese facendosi «tutto a tutti secondo l’esempio di san Paolo». Un adattamento alle circostanze che è chiamato adesso a fare i conti anche con le campagne per la 'sinizzazione' che l’attuale regime politico vuole far avanzare in seno alle stesse compagini religiose. Il governo cinese, «in conformità con la legge – ha spiegato il vescovo di Pechino – orienta le religioni affinché si adattino al socialismo e si integrino nella realtà della società, approfondendo e valorizzando tutti quegli elementi della dottrina che favoriscono l’armonia sociale, il progresso, una civiltà sana» e accrescendo in questo contesto anche «il ruolo attivo della Chiesa cattolica».
Le osservazioni del vescovo di Pechino aiutano a riportare in primo piano dati elementari che sono di rilevanza nevralgica per la vita della Chiesa. E se nell’ottica della Chiesa, l’unità e la comunione di tutti i vescovi con il Papa è vitale, nessuna difficoltà e nuova sofferenza – presente o futura – sul cammino della Chiesa in Cina può essere strumentalizzata o inquinata da veleni interni per nascondere o sminuire questo fatto oggettivo e il suo impatto fecondo e visibile sul vissuto di tutte le comunità cattoliche presenti oggi nella 'Terra di mezzo'. Così come da questo non si può che partire se si vuole, con il realismo proprio della fede, accogliere le attese e speranze di questo popolo – secondo l’auspicio paolino con il quale terminava già nel 2007 la lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI – affinché possano crescere e «trascorrere una vita calma e tranquilla».