Guardare i figli, ricordare l'essenziale. Semplicità di bambini
Alcuni li vedi addormentati sulla schiena del padre, serenissimi. Altri prossimi al pianto cercano la madre, protesi da carrozzine e passeggini. D’estate tornano in scena i bambini. Più in scena, intendo, di quando tra clima rigido e asili o scuole si celano agli sguardi di noi viandanti e passeggeri. D’estate invece sono di nuovo protagonisti, figli di italiani e di turisti. Non di rado in situazioni simpatiche o al limite del grottesco. Ecco lì tre fratellini o cugini in fila su uno scalino a mangiare il gelato, là quell’altro semiriverso nel marsupio hi-tech della giovane madre turista, oppure là in fondo eccone un paio concentratissimi in un gioco che a noi potrebbe sembrare stupidissimo...
«Se non ritornerete come bambini...». Mi esplode come un lampo in mente l’invito evangelico, il suggerimento di Gesù. Che strano, questo suo invito a recuperare sempre un’infanzia in noi, per poter guadagnare in mezzo alle prove della vita, la giusta ricompensa, il paradiso lassù e la letizia quaggiù. E allora li guardo, questi bambini in scena e penso che davvero posso imparare. Da quell’abbandono fiducioso sulla schiena del padre, da quella cura strana a cose che altri possono giudicare inutilissime, da quella tensione a non perdere mai il contatto con la madre, con la provenienza. Da come i bambini si comportano impariamo qualcosa di noi, della nostra natura. Persino da come fanno i capricci. Anche i più irrequieti, i più disperati, che sembrano frignare inconsolabili, in pochi attimi sono nuvole che si disperdono, occhi che risplendono tra le lacrime.
I bambini non sono angeli. Sanno fare dispetti micidiali. Ad esempio, quel piccoletto perché mai deve fregare con tale violenza il ciuccio a quell’altro? Non sono angeli innocenti, ma sono semplici. E la semplicità non è una dote strana o speciale da conquistare. Non è difficile. E non è nemmeno una questione di carattere. Quanti caratteri diversi puoi sorprendere se guardi i bambini intorno a uno di quei giocattoloni da spiaggia tipo scivoli in plastica o reti per saltare! Ci sono i timidi, i leader già a due anni, i finti timidi, gli spacconi, gli attendisti, gli strateghi. La semplicità può convivere con qualsiasi carattere. Perché dipende solo da una cosa. Dalla consapevolezza che ci sono padre e madre, che c’è qualcuno che ti ha fatto e che non ti lascia. La semplicità è una dote naturale, perché la natura ti mostra che non ti sei fatto da solo. Perciò un cuore semplice nasce dal sapere che c’è una schiena di padre su cui ti puoi addormentare. E che questo vale per tutti.
L’uomo semplice è colui che sa che non sono né lui né le sue azioni a compiere la felicità sua e degli altri. La semplicità è dei piccoli, che anche quando fanno i gradassi sanno che c’è qualcuno di più grande da cui andare, e, semmai tra le lacrime, al quale guardare. L’uomo perde semplicità perché guarda continuamente solo a se stesso. Prova a darsi quiete e perdono ed energia da solo. Invece, questi bambini in giro no, eppure ne hanno di energia! Anzi proprio loro fanno venir voglia di vivere e sperare anche a un popolo vecchietto e un po’ sfibrato come il nostro.
In tanti, seguendo un moto del cuore, forse rimpiangono di non aver fatto figli, o di non averne fatti di più. La semplicità infatti si accompagna con il vero coraggio. Che non è quello di chi azzarda, o meglio, è quello di chi oggi fa il vero grande e buono azzardo, l’azzardo di sperare. E mentre tutti pensano che solo dalla salute economica dipenda la speranza, anch’io credo il contrario. Ma si sa, poeti e cristiani pensano strano...