Bullismo 1. La scuola non può diventare un tribunale
Fa davvero effetto vedere le immagini di un adolescente che si accanisce in classe contro un insegnante, sia nel caso che si tratti di umiliazione verbale, sia nel caso più grave che si tratti di violenza fisica vera e propria. L’uso delle video riprese, peraltro da parte di altri alunni decisamente in cerca di gloria sui social, ha finito col rivelare un mondo che nella mia lunga esperienza scolastica non è mai stato del tutto assente, specie nei quartieri più pericolosi di alcune città italiane del Sud o in quelli periferici delle metropoli. Avrei tanti episodi da raccontare raccolti nel corso degli anni dagli insegnanti.
Vederli direttamente sugli smartphone è un’altra cosa, crea davvero la sensazione che la nostra scuola sia sotto attacco, che ci sia una vera e propria guerra in corso fra studenti e insegnanti. Su questa base l’opinione pubblica è spinta ad atteggiamenti di criminalizzazione di una certa fetta di alunni, quasi che non fossero più ragazzi e ragazze con tutta la loro problematicità adolescenziale, ma unicamente criminali da punire e condannare una volta per tutte. Si invocano misure sempre più coercitive.
Non basta la sospensione di 5 giorni, ci vuole la bocciatura; non basta la bocciatura, ci vuole l’allontanamento definitivo dalle scuole italiane. Ma anche questo non è sufficiente, bisogna rinchiuderli in qualche comunità che li tratti come meritano. Non resta che l’appello alla lobotomia cerebrale per chiudere il cerchio con tutto il repertorio possibile di punizioni. Questo desolante profluvio di risentimento verso gli alunni rischia di essere un’ennesima occasione persa per migliorare davvero la scuola. Anzitutto faccio osservare che un’eventuale emergenza di questo tipo, ossia di aggressività dentro le aule scolastiche appartiene solo in minima parte agli alunni verso gli insegnanti.
Ben più consistente in questi ultimi anni sono stati gli arresti di insegnanti che maltrattavano gli alunni nei contesti educativi a partire dal nido fino alla scuola primaria e anche oltre. Si può ben dire che ogni giorno la cronaca, specie a livello locale, presenta situazioni di questo tipo. Non penso pertanto che il problema sia la quantità di nefandezze compiute da alcuni insegnanti verso gli alunni o da alcuni alunni verso gli insegnanti quanto mettere finalmente mano a due nodi inderogabili della formazione di chi insegna. Ancora oggi, difatti, il requisito primario se non unico della qualificazione docente resta la pura e semplice conoscenza della materia. Così non si va molto lontano.
Conoscere la matematica non ti qualifica come insegnante, professionista dell’apprendimento. Sono due oggi le competenze professionali inderogabili per chi si avvicina a questo mestiere. La prima è la capacità di organizzare la classe specialmente come entità sociale, se possibile come gruppo, ossia il saper costruire processi di apprendimento che coinvolgano gli alunni nelle loro interazioni, nelle loro dinamiche relazionali e nei processi di imitazione reciproca. L’ho già argomentato anche su queste pagine: pensare di fare 'lezioni frontali' all’alunno come individuo singolo è totalmente avulso dalla realtà scolastica.
La seconda è la competenza, anche sulla base del riconoscimento delle proprie emozioni, nella gestione dei conflitti con gli alunni e fra gli alunni. Un’attitudine assolutamente indispensabile vista la crisi dei concetti di disciplina e autorità che viviamo quotidianamente in una società sempre più frammentata e sfilacciata. Saper comunicare, evitare inutili provocazioni, costruire dei momenti dove i conflitti possono essere affrontati adeguatamente sono basilari insostituibili di una professionalità docente adeguata ai tempi. Non meravigliamoci viceversa se qualche insegnante potrebbe veramente aver sbagliato lavoro e trovarsi in situazioni poco piacevoli. Una scuola di qualità aiuta i propri ragazzi a maturare, a crescere, a gestire le contrarietà, a sviluppare le proprie risorse all’interno di metodologie pedagogiche efficaci che guardano con fiducia alle potenzialità degli alunni stessi prima di condannarli come se fosse semplicemente un tribunale.
Spiace che nei programmi dei partiti che hanno vinto le elezioni ben poco compaia sulla necessità di costruire un nuovo investimento sociale sulla scuola. Lasciare questa istituzione sempre più ai margini dell’interesse comune rischia di trasformarla in uno spazio pericoloso sia per chi ci lavora che per chi dovrebbe ricavarne un beneficio.
Pedagogista, autore del libro 'I bulli non sanno litigare'