I viaggi di Papa Francesco sono altrettanti “messaggi”. Anche prima del loro svolgimento. Non fa eccezione la visita in Turchia (dal 28 al 30 novembre prossimi), che era stata annunciata già da diversi mesi e della quale ieri la Sala Stampa ha diffuso il programma ufficiale. In questo caso, addirittura, i messaggi sono più d’uno, perché è chiaro fin dal duplice invito – quello del presidente turco Erdogan e quello del patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo – che i “fuochi” del viaggio sono principalmente due: “politico” ed ecumenico. Sul primo versante, in realtà, il significato della visita è ancora più complesso e porterà il Pontefice di nuovo a contatto con la martoriata realtà del Vicino Oriente che ha sempre dimostrato di avere in cima alle sue preoccupazioni pastorali.Non è un mistero per nessuno che la Turchia – non solo per la posizione geografica – rivesta in questo particolare frangente un’importanza cruciale nelle vicende legate all’attacco terroristico dell’Is e alle sue dolorose conseguenze. Ed è dunque un messaggio nel messaggio il fatto che l’annuncio del programma della visita sia giunto il giorno dopo del Concistoro dedicato ai problemi della regione. In tal modo, il primo segnale della tre-giorni turca di Francesco è un altro “scossone” a quell’«indifferenza di tanti» (non esclusa qualche importante istituzione internazionale), che consente il proliferare dell’ingiustizia, della violenza e della sofferenza nell’area mediorientale. Vi è poi un’altra coincidenza temporale che merita di essere sottolineata. Il Papa partirà per Ankara e Istanbul appena tre giorni dopo la visita lampo (25 novembre) al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa. Non era mai accaduto, da quando i Pontefici hanno ripreso a viaggiare, che due itinerari papali avessero luogo a così breve distanza. Perciò questa prossimità suggerisce che le due visite sono talmente legate, da apparire quasi come lo stesso viaggio in due tappe. È noto, infatti, che la Turchia aspira da tempo ad entrare nell’Ue, così come è geograficamente e politicamente evidente che si tratta di un Paese-ponte tra il Vecchio Continente e quella parte di Asia che è oggi più che mai sconvolta dai venti del terrorismo e della guerra. Un Paese i cui stessi confini sono lambiti dai combattimenti. In tal senso dunque, letto in filigrana, l’uno-due papale di novembre, riporta in primo piano il ruolo che l’Europa può e deve giocare per non alimentare quell’«indifferenza» di cui si diceva (anzi per favorire un processo di pacificazione e di restaurazione della legalità). E d’altro canto investe di una responsabilità nella promozione dei diritti umani e del diritto internazionale anche le autorità turche che Francesco incontrerà ad Ankara. Allo stesso tempo tende le mani verso la preponderante comunità islamica di quel Paese (da sottolineare la visita alla Moschea blu, sulle orme di Benedetto XVI) nella ricerca di un dialogo sincero nell’amicizia e nel rispetto della libertà religiosa.È in sostanza una sorta di prova di maturità, quella che sta davanti alla Turchia, maturità che non può mancare a chi guarda così insistentemente all’Europa che si va unendo e vorrebbe partecipare a questo processo. Il fatto, poi, che al fianco del Pontefice ci sia nuovamente (come a Gerusalemme e come nel giorno della preghiera per la pace nei giardini vaticani) il patriarca Bartolomeo, massimo fautore della visita, conferisce all’appuntamento una valenza affatto speciale, palesando quell’unità tra tutti i cristiani (poiché in Medio Oriente a essere colpiti non sono solo i cattolici) che su specifici problemi è già in atto.Non è da sottovalutare, infine, la forza del messaggio che il Papa lancia verso le stesse popolazioni colpite dall’insensata violenza dell’Is. Francesco, come ha detto più volte, avrebbe voluto recarsi sul posto, ma data la situazione, la Turchia è il luogo più vicino alle città e alle popolazioni martiri di Iraq e di Siria che egli possa attualmente raggiungere. Una “carezza” amorevole, pur alla distanza imposta dalle circostanze, che – unita all’incessante azione diplomatica della Santa Sede e al ponte di solidarietà messo in atto dalle Chiese di tutto il mondo – è il segnale paterno di questo viaggio. In attesa che un giorno, si spera non tanto lontano, quella carezza possa essere portata di persona.