Milano. La «scoperta» della Terza età un lascito del cardinale Colombo
1977: Colombo consacra l'altare della "sua" Caronno. Arcivescovo a Milano dal 1963 al 1979, era stato collaboratore di Montini
Trent’anni fa, il 20 maggio 1992, morì il cardinale Giovanni Colombo (nato il 6 dicembre 1902 a Caronno Pertusella, in provincia di Varese) guida della diocesi di Milano dal 1963 al 1979. Di lui il teologo suo omonimo monsignor Giuseppe Colombo scrisse: «Senza parere, la società del tempo di Colombo fu indubbiamente una società inquieta. (...) Quasi nessuno se ne è accorto, evidentemente in gran parte per il modo col quale lo stile di Colombo l’ha gestita ». I sedici anni e mezzo dell’episcopato milanese di Colombo furono segnati da profondi mutamenti nella popolazione diocesana, giunta a superare i cinque milioni di abitanti per il fenomeno migratorio che fece espandere le periferie cittadine.
Di fronte alla crisi di quel momento storico dai contorni drammatici, segnato da atti di terrorismo e stragi, Colombo reagì vigorosamente. Dal dicembre 1974, rivolgendosi a Milano alla vigilia di sant’Ambrogio, con i suoi «Discorsi alla Città» (intesa anche come società civile) diede avvio a quello che, da allora, sarebbe stato considerato il 'magistero civile' dell’arcivescovo di Milano. Ma sin dal suo ingresso in diocesi Colombo, che negli anni precedenti era stato vescovo ausiliare e strettissimo collaboratore del cardinale Montini, aveva affrontato la questione dell’evangelizzazione della città moderna. «A Milano – affermò – si possono fare tante cose che altrove non sono possibili», cercando di «ricomporre il dissidio ingiustamente scavato tra la religione e le strutture dell’industria e del commercio; tra la materia e l’uomo, tra il determinismo della macchina e la geniale iniziativa umana, tra la giustizia e le classi sociali, tra la debolezza dell’uomo e la grandezza della persona umana». Il nuovo arcivescovo sembrò la persona più adatta a ricomporre questo dissidio, perché conosceva la sua diocesi, dove aveva ricevuto la sua solida formazione religiosa e culturale.
Studente di Lettere all’Università Cattolica di Milano, era rimasto affascinato dalle lezioni di letteratura italiana tenute dal poeta Giulio Salvadori, che reputò suo maestro per il resto della vita. In quegli anni il giovane Colombo godette la stima del fondatore e rettore della Cattolica, padre Agostino Gemelli, che lo avrebbe voluto successore di Salvadori come docente di Letteratura italiana, mentre l’arcivescovo di Milano Alfredo Ildefonso Schuster preferì affidargli l’in- carico di rettore maggiore dei Seminari milanesi. In questa veste fu lui ad amministrare l’estrema unzione all’anziano Schuster, morto nell’agosto 1954 nel Seminario di Venegono inferiore. Mantenendolo in questa carica, il nuovo arcivescovo Giovanni Battista Montini lo chiamò al suo fianco come vescovo ausiliare. Pur provenienti da esperienze familiari, culturali ed ecclesiastiche diverse, vi fu dal primo momento una grande intesa tra Montini e Colombo, che dal 1961 fu posto a presiedere il consiglio della Società editrice Itl, responsabile delle pubblicazioni del quotidiano cattolico milanese L’Italia, diffuso in Lombardia e Piemonte.
Quando, nell’estate 1963, Montini venne eletto Papa, volle che fosse proprio il suo vescovo ausiliare a succedergli come pastore e guida della diocesi ambrosiana. Fu in particolare la straordinaria e personale conoscenza che Colombo aveva degli oltre duemila sacerdoti ambrosiani e la profonda comprensione della complessa realtà diocesana a spingere Paolo VI a compiere tale scelta. La vicinanza del Papa confortò Colombo nei lunghi e travagliati anni dell’episcopato, nei quali non mancò, tra il 1969 – dopo la strage di Piazza Fontana, avvenuta dinnanzi alla Curia – e il 1970, la tentazione di rimettere il mandato. Ma sempre Paolo VI lo incoraggiò a «rimanere fiducioso e forte sulla cattedra che la Chiesa, interprete della Provvidenza, Le ha assegnata».
In quegli anni vi furono diversi e rilevanti atti promossi da Colombo per recepire nella diocesi di Milano il Vaticano II, cui aveva partecipato, intervenendo su formazione sacerdotale e spiritualità del clero diocesano. Tra i più importanti atti magisteriali dell’arcivescovo Colombo vanno ricordati l’indizione del XLVI Sinodo diocesano, svolto tra il 1966 e il 1972 per attuare le disposizioni conciliari, la conseguente riorganizzazione della Curia e la ristrutturazione geografico- pastorale della diocesi ambrosiana. Sull’importanza di conservare il rito ambrosiano Colombo ebbe il fondamentale sostegno del Papa, già arcivescovo di Milano.
La diocesi fu particolarmente coinvolta nella nascita del quotidiano cattolico nazionale Avvenire, sorto nel 1968 dall’unificazione del giornale diocesano L’Italia con il bolognese L’Avvenire d’Italia. La partecipazione della Chiesa ambrosiana e dello stesso arcivescovo alla vicenda di Avvenire e il suo incitamento ai fedeli a sostenere il nuovo quotidiano cattolico e a favorirne la diffusione erano stimolate dalla costante e vigile attenzione di Paolo VI nei confronti del giornale da lui fortemente voluto. Colombo, nonostante l’iniziale titubanza, accolse il progetto del quotidiano nazionale dei cattolici italiani, realizzato proprio a Milano, impegnandosi per il giornale, che considerava strumento necessario nel proporre una «sicura visione cattolica della realtà», per offrire «il punto prospettico cattolico dal quale vedere, illuminare, giudicare» tutti gli avvenimenti.
Per un breve periodo di transizione, tra il 1965 e il 1966, Colombo fu alla guida della Cei, in un triumvirato di presidenza insieme all’arcivescovo di Firenze, Ermenegildo Florit, e al patriarca di Venezia, Giovanni Urbani, che avrebbe poi mantenuto la presidenza fino alla morte improvvisa nel 1969. In quegli anni, alle riunioni della Conferenza episcopale italiana come nelle adunanze di quelle lombarda e triveneta, Colombo ebbe occasione di frequentare il patriarca di Venezia, Albino Luciani, di cui sostenne l’elezione al pontificato. L’improvvisa scomparsa del Pontefice colpì profondamente il cardinale Colombo, che proprio la sera della morte di papa Luciani aveva parlato per ultimo con lui al telefono. Al secondo Conclave del 1978 appoggiò Karol Wojtyla, che conosceva bene sin dai primi anni Sessanta. Il rapporto di stima e amicizia consolidatosi tra i due negli anni appare evidente dal breve racconto che l’arcivescovo di Milano fece di quell’elezione: «In un intervallo delle consultazioni mi volli scusare con il cardinale Wojtyla perché qualcuno insisteva a votare ancora per me, nonostante avessi pregato i colleghi a convogliare le mie preferenze su di lui; egli mi rispose: 'Uno di questi lo conosco bene, io'».
L'inizio del pontificato di Giovanni Paolo II coincise con l’ultimo anno di episcopato di Giovanni Colombo. Il magistero di entrambi, sulla scia di Paolo VI, aveva come radice un forte umanesimo cristiano, inteso come «l’attenzione primaria posta all’uomo, al suo mistero, alla sua grandezza, alle sue debolezze». A partire dal 1970 Colombo aveva avviato i programmi incentrati sulla «pastorale dei sacramenti e la famiglia». Nella Pentecoste 1973 il cardinale promulgò un documento su «La pastorale della Terza età», ritenendo urgente svolgere apostolato tra gli anziani che, a seguito dei cambiamenti sociali, iniziavano a patire debolezza e indifferenza. I 'nonni' e i pensionati, e più in generale gli anziani che rischiavano l’emarginazione, raffiguravano ormai una 'terza età' della vita, termine oggi molto diffuso ma utilizzato per la prima volta in Italia proprio dal cardinal Colombo. Dopo aver aggiunto anni alla vita, bisognava aggiungere – secondo l’arcivescovo – «vita ai loro anni», perché compissero il più serenamente possibile gli ultimi traguardi. Fu istituita a Milano anche una «Università della Terza Età» che oggi porta il suo nome. All’interno dell’Azione Cattolica ambrosiana, su impulso del cardinale, nel maggio di cinquant’anni fa, venne fondato il Movimento Terza Età. Nel 1982 Colombo pubblicò una summa dei suoi insegnamenti sugli anziani: È ancora primavera. Conoscere, amare, servire l’anziano.
Alla sua diocesi, per la quale, nonostante la sopraggiunta infermità, continuò a spendersi anche durante gli anni della sua terza età, il cardinale rivolse il pensiero fino agli ultimi momenti. «Ogni volta che sulla terra ambrosiana scenderà la sera – scrisse nel suo testamento spirituale – dal cielo guarderò su ciascuna famiglia. Pregherò con quelli che pregano. Pregherò per quelli che non pregano. E tutti benedirò».