Opinioni

La scelta di Gabanelli nelle Qurinarie e altre mosse. «Visto in tv» e gioco delle tre carte: logiche antiche nel nuovo M5S

Alessandro Zaccuri mercoledì 17 aprile 2013
La Rete di qua e l’intelligenza collettiva di là, la democrazia diretta e vota il tuo presidente con un clic. Poi però, quando si tratta di scegliere, anche l’elettore diffuso del MoVimento 5 Stelle non si sottrae alla logica che negli ultimi vent’anni ha dominato la politica italiana: va sul sicuro e preferisce il candidato più televisivo di tutti. Al termine di un processo che ha rispettato solo in parte le promesse di trasparenza della vigilia, le Quirinarie indette via web dal M5S hanno infatti indicato in Milena Gabanelli la personalità più adatta a ricoprire la massima carica dello Stato. Designazione legittima, se si considera il prestigio di cui la conduttrice di "Report" gode, ma nello stesso tempo mossa poco più che simbolica dal punto di vista politico, dato che molto difficilmente la giornalista riuscirà a ottenere la maggioranza necessaria all’elezione. Se Gabanelli non si tirerà indietro, da quel che si può intuire, ai primi tre scrutini gli elettori del MoVimento si concentreranno su di lei, la Quirinaria di bandiera, dopo di che si vedrà. Anzi già si capisce che, come nel gioco delle tre carte, Beppe Grillo è pronto a puntare sulle altre due "facce" da podio M5S e, dunque, da scranno. Potrebbe addirittura essere pronto a saltare la seconda – quella di Gino Strada, portabandiera di "Emergency", probabilmente indisponibile a far da bandiera ad altri –, per arrivare direttamente, con mossa niente affatto casuale e perciò scopertamente politicante, alla terza faccia: il giurista di chiara fama laicista Stefano Rodotà. Ma non è questo il problema che, qui, importa, così come non sono in discussione la competenza, il buon nome o l’opportunità di un eventuale “presidente Gabanelli”. Il dato "di base" che colpisce è infatti un altro: tra dieci possibili opzioni (ridotte a nove dall’autoesclusione del fondatore Grillo), le preferenze si sono concentrate sul volto più televisivamente popolare. Potrebbe essere un caso, d’accordo, ma il sospetto è che, anche all’interno del mediaticamente rivoluzionario M5S, continui a prevalere lo schema del «visto in tv!», impostosi con forza crescente a partire dagli anni Ottanta. L’età d’oro delle reti commerciali, ma anche il periodo in cui un giovane comico genovese diventa una presenza sempre più abituale delle prime serate nazionalpopolari. Fino al fattaccio dell’86, lo sappiamo: la battuta sui socialisti, l’allontanamento dalla Rai. Il Grillo politico, in fondo, nasce in quel momento, e nasce in un contesto fortemente connotato dalla tv. Anche il pubblico che, da lì in poi, lo segue nei tour teatrali, pronto a confluire nei meet up oceanici dell’ultima stagione, può a buon diritto essere considerato una prosecuzione dell’Auditel con altri mezzi. Fateci caso: i giornalisti di riferimento del M5S hanno tutti un profilo appetibile dal punto di vista televisivo. Milena Gabanelli, certo, ma anche Marco Travaglio, che come Grillo ha conosciuto l’onorevole onta dell’esilio dai palinsesti, oggi compensata dall’assiduità che conosciamo. La controprova, del resto, viene dal fatto che Grillo, per quanto lo riguarda, ha da tempo stabilito di rendersi invisibile alle telecamere. Linea condivisa dall’inseparabile Gianroberto Casaleggio, che peraltro ha una predilezione per i video da diffondere su YouTube. La tv funziona così: per diventare un personaggio o ci vai sempre oppure non ci vai. Per tutto il resto c’è – o dovrebbe esserci – la Rete.