Proposta. La sana Costituzione di un Paese che investe sulle bici
C’è una cosa che il Governo del cambiamento potrebbe fare subito con grande beneficio sanitario, ecologico ed economico, grande consenso, nessuna resistenza, costo immediato contenuto, ma costo complessivo negativo (ossia, con più benefici che costi): una organica, lungimirante e massiccia politica nazionale per promuovere il ciclismo urbano.
È questo che hanno deciso ieri il popolo votante elvetico (70% di sì), una settimana fa il Governo francese e negli ultimi anni diversi Paesi, ognuno dei quali, ha creato o cambiato leggi e deciso investimenti nazionali pro-bici di miliardi di euro scadenzati sui prossimi decenni (per esempio la Danimarca...). Il Governo francese ha messo in vigore a metà settembre il suo “Plan velo”, una articolata politica nazionale per raddoppiare la percentuale media di spostamenti urbani in bicicletta.
Una coerente e massiccia strategia governativa nazionale per la bicicletta è una delle politiche pubbliche più efficaci e redditizie per raggiungere contemporaneamente diversi obiettivi i cui benefici sul medio termine sono maggiori dei costi immediati. Più spostamenti urbani in bici (e meno con veicoli motorizzati), infatti, riducono contemporaneamente molte cose indesiderabili e costose: le emissioni climalteranti, gli inquinanti locali emessi dai motori e che sono molto nocivi per la salute, il degrado di edifici e monumenti, la congestione e il numero dei veicoli a motore circolanti.
Certo, la messa in pratica della politica pro-bici è locale. Tuttavia una massiccia, lungimirante, scadenzata e articolata politica di questo tipo è possibile solo a livello nazionale, perché essa richiede molti diversificati interventi, compresi regolamenti, leggi e fattori indiretti che favoriscono gli spostamenti in bici. È per questo che domenica 23 settembre il 74% del popolo votante svizzero ha approvato la proposta delle associazioni ambientali, sanitarie, pro-bici e anche dello stesso Governo per scrivere addirittura nella Costituzione elvetica la responsabilità dello Stato per favorire l’uso della bicicletta. Da oggi, questo è il nuovo testo dell’articolo 88 della Costituzione federale: «Sentieri e percorsi pedonali e vie ciclabili.
1. La Confederazione emana principi sulle reti di sentieri e percorsi pedonali, nonché sulle reti di vie ciclabili destinate al traffico quotidiano e del tempo libero.
2. Promuove e coordina, nel rispetto delle competenze dei Cantoni, i provvedimenti dei Cantoni e di terzi per la realizzazione e la manutenzione di reti sicure e attrattive nonché per informare sulle medesime.
3. Nell’adempimento dei suoi compiti, prende in considerazione tali reti. Se deve sopprimere da tali reti sentieri e percorsi pedonali o vie ciclabili, li sostituisce». Il “Plan-velo” francese, promesso da Emmanuel Macron in campagna elettorale coordina e orienta le iniziative locali, ma stanzia anche 350 milioni di euro in 7 anni dal bilancio dello Stato. L’iniziativa popolare del Governo svizzero, invece, è a costo zero, perché essa sancisce “solo” l’inserimento nella Costituzione dei doveri della Stato per aumentare l’uso della bicicletta.
A margine di questa iniziativa, alcuni partiti hanno anche proposto un abbonamento gratuito per i Parlamentari a “Publi-Bike” il sistema di bike-sharing nazionale, di proprietà dello Stato. E in Italia? Forse il Governo del cambiamento potrebbe cominciare proprio da qui. Per esempio: inserire nella Costituzione italiana un articolo simile a quello svizzero. Raddoppiare nel Paese l’uso della bici avrebbe più benefici economici ed ecologici che non dimezzare il numero dei parlamentari a Roma. Un’altra misura a costo quasi zero sarebbe l’installazione di un parcheggio di biciclette nella piazza di Montecitorio, per Parlamentari, governanti e impiegati del Parlamento. Il suo beneficio maggiore sarebbe di immagine.
Si vedrebbero ogni giorno governanti e parlamentari partire, arrivare e dare interviste in bici, invece che su potenti berline. Sul piano dell’immagine questo renderebbe la bici la norma e l’auto l’eccezione. Farebbe riflettere milioni di cittadini. Porterebbe consenso sia degli ecologisti sia degli “anti-casta”. Il prestigio sociale delle élite comincerebbe a misurarsi in tonnellate di CO2 evitate.
I politici leghisti comincerebbero a dimostrare che il loro verde è anche quello dell’ambiente, non solo quello delle camicie. I politici 5 stelle dimostrerebbero che non hanno abbandonato i temi di ecologia locale della “Carta di Firenze” del 2008, il documento fondante delle liste comunali a 5 stelle, formulato dal primo nucleo di idealisti e pragmatici ecologicisti che diedero origine al Movimento.