Il giorno dell'Epifania di Gesù. La rivelata fragilità che cambia la Storia
Caro direttore,
a pochi attimi dal grido della partoriente, l’Epifania concede l’illusione della potenza e della forza umana, tutte concentrate nel bimbo più atteso della storia che avrebbe dovuto portare successo, potere, rivoluzioni politiche e benessere sociale. E tutta la Storia si ritrova lì, di fronte al corpo della speranza, in apnea per evitare di muovere anche il più insignificante dettaglio di quella scena epocale, in ascolto. Nessuna stagione della storia umana ha mai rinunciato a contemplare, fosse solo per pochi istanti, l’immagine estasiante dell’Atteso che abbraccia il mondo. Trascorse poche frazioni di secondo dal vagito che ha separato la storia in antica e nuova, segnando il tempo con un nuovo passo, un bimbo si lascia adorare.
Una scena degna dei migliori colossal cinematografici, con la presenza di immense folle e di uno stuolo di comparse che riempivano la scena con amara inconsapevolezza della portata storica dell’Evento. Secoli di attesa e di presagi avevano preparato l’umanità a quell’appuntamento straordinario. Secoli anche di scritti, di preghiere, di dibattiti politici, nonché di martirii e di sacrifici, di olocausti e sfide religiose, diatribe teologiche e intellettuali e prove di forza nazionale. Una preparazione battente che ha serpeggiato nella storia del mondo alla ricerca delle più profonde e veritiere motivazioni che avrebbero potuto spiegare con un nome o con un Dio, cosa fosse quell’anelito insito nell’uomo di ogni tempo che lo portava a desiderare l’Eterno, a non accontentarsi dell’effimero e del transeunte. Una ricerca di radici per capire dove la vita di ognuno di noi avesse attecchito per la prima volta o a quale primo volto l’uomo ha volto il suo primo sguardo; chi ha ascoltato il nostro primo gemito? Ma noi dell’età post-moderna, figli dell’era tecnologica, non siamo così facili agli inganni e non ci facciamo infinocchiare così semplicemente. Sappiamo bene quale fu la fine di quel corpicino una manciata di decenni dopo.
Dimèntichi del vagito inaugurale della nuova storia, abbiamo ben presente il grido straziante della croce, il corpo dissacrato e svuotato da ogni speranza e da ogni attesa. E il peso delle sconfitte. Ma quando capiremo che le nostre attese di onnipotenza sono futili? Quando ci accorgeremo che non sarà la forza dell’individualismo né la potenza di un’autodeterminazione, intesa in senso assolutizzante ed esasperato, a farci vincere? È la povera mangiatoia che ci salva! È dalla precarietà della stalla che passa la salvezza! Quel vagito impotente è il vero segnale nuovo della storia. La condizione fragile dell’uomo non è l’apice della nostra disperazione, ma l’occasione irripetibile della Grazia di vedere un uomo che piega il suo corpo per prendersi cura di un altro uomo. Non rinunciamo alla mistica confusione in cui il forte si possa far carico del debole e il debole faccia il dono della sua fragilità a chi gli passa accanto. Non usciamo dalla scena epocale dell’Epifania perché delusi nelle nostre aspettative dalla piccolezza del Re. Pieghiamoci, adoriamo il bambino.
È lui il Re, Onnipotente e Onnidebole, maestoso e poverissimo, Potente e Fragile, eternamente Dio e totalmente Uomo. Davvero in Cristo-Bambino cambia la Storia! E ogni gesto umanissimo in cui ci capitasse di tagliare le unghie a chi non sa farlo da solo, o dovessimo allacciare le scarpe a chi è cieco, o dovessimo mangiare al fianco di un lettino di ospedale... quel gesto saprà raccontare l’eternità del Dio Bambino. Colui che da sempre era l’Atteso...
*Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII