Dopo-pandemia: debito e benvivere. La risposta migliore
I commissari Valdis Dombrovskis e Paolo Gentiloni hanno dunque annunciato che il Patto di stabilità europeo resterà sospeso per tutto il 2022 e sarà ripristinato con regole diverse nel 2023. Su quello che accadrà allora e sulle nuove regole macroeconomiche che saranno in vigore si giocherà molto del nostro futuro economico.
Da questo punto di vista sarebbe veramente un delitto non mettere a frutto la lezione della pandemia.
Sappiamo che un debito pubblico è sostenibile quando sui mercati finanziari la domanda di titoli riesce a compensare l’offerta mantenendo bassi tassi d’interesse e servizio del debito. Il paradosso della pandemia è che, nonostante i rapporti debito-Pil dei Paesi ad alto reddito (Ue e non Ue) siano aumentati di 20/30 punti percentuali i tassi d’interesse sono rimasti fermi o addirittura calati, e così l’incubo dell’esplosione dello spread non si è realizzato.
La risposta molto semplice all’enigma sta nel rafforzato protagonismo delle Banche centrali che, con i loro piani di acquisto dei titoli pubblici, detengono oggi circa un quarto del debito dei Paesi membri. L’obiettivo di detenere stabilmente questa quota o addirittura rafforzarla 'restituendo' i proventi da interesse ha tranquillizzato i mercati.
Ergo i debiti pubblici dei Paesi ad alto reddito sono sostenibili se le Banche centrali manterranno quest’impegno.
Nel nostro caso lo sforzo maggiore della Bce non è avvenuto senza condizionalità. A esso è stato affiancato uno sforzo d’investimento senza precedenti ( Next Generation Eu) che beneficerà soprattutto i Paesi più in difficoltà, sforzo sostenuto dall’impegno di raccogliere risorse sui mercati direttamente da parte dell’Unione (è già accaduto con il Sure e sta accadendo con il NgEU). Il colpo d’ala delle politiche macroeconomiche europee sorretto dall’impegno delle Banche centrali ha prodotto un 'miracolo' di cui non siamo sempre del tutto consapevoli, facendo sì che il periodo di maggiore e più profonda crisi economica dal secondo dopoguerra novecentesco (che ha registrato un calo del Pil mondiale del 3,3%) corrispondesse una disponibilità di risorse pubbliche per gli investimenti mai vista in tempi di 'vacche grasse'.
La strategia scelta ha perfettamente funzionato grazie al fatto che la Bce ha le spalle larghe e il suo impegno non ha in nessun modo pregiudicato i due grandi obiettivi del contenimento dell’inflazione e della stabilità del cambio. Ciò che fa tutta la differenza sta dunque nella forza e nella reputazione di una Banca centrale. È una fortuna, da questo punto di vista, vivere nella nostra parte di mondo. Tutti coloro che sono dall’altra parte, non possono seguire la stessa strada e devono chiedere col cappello in mano alle istituzioni internazionali forme di condono sul loro debito estero.
In questo periodo difficile e promettente, dalle colonne di 'Avvenire' è venuto un costante contributo al dibattito sul debito. Ed è forse utile ricordare quello che offerto da chi scrive assieme al collega Pasquale Scaramozzino in un recente lavoro di ricerca ( https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=3746917) nel quale si indicano otto vie per 'sterilizzare' l’aumento di debito generato dalla pandemia, esplorando sia soluzioni più 'estreme', come quelle della cancellazione, sia forme più soft, come quelle scelte oggi dalla Bce. Il vantaggio dell’attuale soluzione è quello di consentire all’istituto di Francoforte di mantenere un insieme di strumenti ricco e articolato per fronteggiare eventuali pericoli inflazionistici.
Si contrappongono molto spesso gli interessi dei Paesi Ue a più alto debito (a cominciare dal nostro) e dei cosiddetti 'Paesi frugali'.
In realtà esiste invece un interesse comune a proseguire su questa strada per rilanciare lo sviluppo, gli investimenti pubblici e il modello di welfare di tutta l’Unione e per allontanare lo spettro di nuove crisi finanziarie. La via più razionale da seguire dopo la pandemia sta dunque nel mantenimento e rafforzamento dell’impegno della Bce a detenere (rinnovando a scadenza) una quota di titoli di debito pubblico dei Paesi membri in cambio di regole fiscali non ispirate all’austerità, quanto piuttosto a un utilizzo intelligente di risorse e investimenti.
È quanto si sta predisponendo con il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) può portare nel nostro Paese una quantità elevatissima di risorse, se sapremo agire secondo regole stringenti sia in termini di efficienza e tempi di utilizzo sia di settori e tipi d’investimento da privilegiare (transizione ecologica e digitalizzazione, in primis). La condizionalità ha due vantaggi. Impedisce sprechi di risorse e, se ben impostata, aumenta la produttività e avvia una dinamica in grado di portare a una potenziale riduzione del rapporto debito/Pil.
La combinazione tra aumentato attivismo delle Banche centrali, grande Piano di investimenti pubblici e condizionalità nell’utilizzo delle risorse è stata la risposta d’emergenza a una delle crisi più gravi della storia europea. Dobbiamo semplicemente capire che ciò che abbiamo 'scoperto' in condizioni di necessità e con le spalle al muro è anche la risposta migliore alla domanda di benvivere e prosperità in tempi ordinari dei cittadini europei.