il direttore risponde . La responsabilità (e la bellezza) di fare un giornale cattolico. E basta
Caro direttore, grazie per la lettera di Enrica Bonaccorti e, soprattutto, per la sua risposta su 'Avvenire' di domenica 23 riguardo a Napolitano e al dibattito su 'fine vita' ed eutanasia. Avete centrato esattamente dove sta il problema. Non si può legiferare, anzi bisogna smettere di legiferare stando dietro a una scrivania e senza avere contatti reali con l’umanità, senza avere una conoscenza – anche scientifica – di ciò su cui si intende legiferare. C’è gente che parla ancora di spine e non spine – inesistenti – e pretende di legiferare. Prima ancora di pensare a legiferare occorre pensare a incontrare la realtà che come lei sottolineava è fatta non solo di malati, ma di famiglie lasciate sole! E di bambini praticamente orfani, per i quali la risposta al problema non può certo essere quella semplicistica e sbrigativa che darebbero oggi tanti politici davanti a certe situazioni. Grazie ancora!
Fabio Sansonna, MonzaVorrei dirle cento volte grazie, grazie di cuore, caro e gentile dottor Sansonna. Lei è medico, marito e padre e sa molto bene di che cosa stiamo parlando e perché lo facciamo con il nostro tono, che si sforza di tenere assieme chiarezza e carità, e con una scelta di campo netta a favore delle persone, e dunque, prima di tutto, dalla parte dei deboli, degli abbandonati, dei piccoli, degli 'imperfetti'... È uno stile – sposato alla sostanza di un precisa qualità informativa – che caratterizza ormai da 45 anni il quotidiano nazionale d’ispirazione cattolica pensato e voluto da Paolo VI (proprio oggi, a pagina 24 presentiamo il nuovo e prezioso studio di Eliana Versace su nascita e primo radicamento della nostra testata). È uno stile che considero e sento così tanto giusto da aver tentato di viverlo anche negli altri quotidiani dove ho lavorato nel corso della mia carriera, prima di approdare ad 'Avvenire' di cui, sin da ragazzo, sono stato lettore. E qui vengo a lei, caro signor Caminati. Ho, certo, consapevolezza dei miei limiti e mi rendo serenamente conto di non piacere a tutti per come ragiono e scrivo, ma so anche che ciò che uno come me mette in pagina da tempo, e con una certa coerenza, non si cancella e non si deforma facilmente (come si dice? 'Carta canta...'). Così come so che il rischio che corre chi si avventura in simili aspre operazioni denigratorie è anche quello di cadere sentenziosamente nel ridicolo. Spero vivamente che nel suo caso si tratti solo di una questione di occhiali appannati… In ogni caso, in tutto ciò che mi attribuisce una cosa del tutto vera c’è: col passare degli anni, il sospetto che dai miei genitori e dai miei maestri di fede, di vita e di professione ho imparato a nutrire per i 'fanatici' (e gli strumentalizzatori) ovunque si schierino, comunque si propongano e in qualsiasi modo mediaticamente si agghindino è diventato la più aperta, seria e motivata disistima. Cerco di viverla con pazienza e ai miei onesti interlocutori chiedo di metterne in campo altrettanta, convinto che il dialogo sincero fa miracoli d’umanità e di semplice buon senso. Ci credo sul serio da cittadino di questo Paese e del mondo che coltiva un’idea precisa della nostra comune responsabilità e dei grandi valori che la spiegano e la sostengono. In questa fase della mia vita, posso provare a esercitarla anche da direttore di 'Avvenire'. Un giornale che grazie a Dio, al suo grande 'inventore' e ai suoi speciali editori è cattolico e basta, senza altri aggettivi.