Nel volgere di poche ore eventi disgiunti e di diversa portata, ma tutti importanti nel loro ordine, hanno mostrato l'eccezionale rilievo che l'esperienza religiosa ha di nuovo nel nostro mondo: mentre a Roma si svolgeva il primo Forum cattolico-musulmano, istituito dal pontificio Consiglio per il Dialogo, negli Stati Uniti veniva eletto il 44° presidente, dopo un dibattito lungo e aspro in cui la questione religiosa ha avuto un ruolo non secondario. A distanza di un giorno dall'elezione, un'altra voce dal mondo islamico, quella di al-Qaida, si è levata per ricordare a «i nuovi capi della Casa Bianca e i loro alleati dei Paesi cristiani» la necessità della loro "conversione all'Islam" per salvare la civiltà occidentale dal disastro. Non può non colpire che il Nome Santissimo torni oggi al centro della disputa sulla storia mondiale: nel nome di Dio si cerca il dialogo religioso, si chiede la protezione della propria nazione («God bless America»), si ingiunge la conversione e l'assimilazione religiosa. Tre casi paradigmatici dell'invocazione del nome di Dio come cardine di interpretazione della storia che stiamo vivendo e della trasformazione che ad essa si vuole imprimere. Non sono certo tre invocazioni equivalenti, nonostante siano tutte tremendamente sincere. La loro diversità può essere meglio colta dall'interno del più piccolo dei tre avvenimenti, il Forum cattolico-Musulmano, che ha documentato " ancora una volta " quanto sia potente l'invocazione dell'Altissimo per gli immensi spazi dello spirito che essa apre e per le straordinarie possibilità che essa mobilita; ma anche quanto sarebbe pericoloso evocare quel Nome senza adorarne tutto il significato, tutto quello che Esso ha rivelato di avere. La diversità del Forum cattolico-Musulmano è consistita, infatti, nel partire non dai tipici problemi di un rapporto interreligioso difficile, ma dall'invocazione del Nome come ciascuna tradizione è in grado di comprenderlo. Non dunque il Nome invocato a servizio di un progetto, ma la disponibilità a ciò che il Nome dice di sé e a ciò che Esso vuole da noi: l'Amore che è Dio e l'amore di Dio in Cristo per il mondo, da parte cattolica; l'amore «forza trascendente e imperitura» che viene dall'Unico che è «amorevole», da parte musulmana, come dice la dichiarazione finale comune. Ne è venuta un'indicazione di metodo fondamentale perché i rapporti interreligiosi siano sinceri e fecondi: andare alle fonti e alle idee fondative delle tradizioni con spirito veramente religioso, volendole ascoltare per ciò che esse sono, per ciò che esse dicono, per ciò che esse chiedono anzitutto ai loro stessi fedeli. Questo ha permesso di cogliere le grandi somiglianze lasciando sussistere le differenze, come ha osservato il Papa nell'udienza concessa. «Essere adoratori dell'unico Dio» rende possibile, anzi doveroso, «lavorare insieme nel promuovere il rispetto autentico per la dignità della persona umana e per i diritti umani fondamentali, sebbene le nostre visioni antropologiche e le nostre teologie giustifichino ciò in modi differenti». C'è dunque una differenza che unisce nel rispetto reciproco e nella collaborazione per un bene comune possibile. È un criterio straordinariamente importante per un compito storico di eccezionale importanza come la cooperazione delle religioni per un nuovo umanesimo, secondo il desiderio ampiamente condiviso nei lavori del Forum. Ma il fondamento è e resta appunto l'adorazione del Nome, non la sua invocazione interessata o, addirittura, la sua affermazione imposta.