Opinioni

Biodiversità. La regola delle quattro «R» per salvare le specie viventi

Francesco Gesualdi sabato 9 ottobre 2021

Dall’11 al 15 ottobre, in Cina, a Kunming, si tiene una Conferenza internazionale non meno importante di quella che si terrà in Scozia, a Glasgow, a inizio novembre. E se quest’ultima avrà come tema il clima, quella di Kunming avrà come tema la biodiversità. L’Ipbes, il gruppo di studio delle Nazioni Unite sulla biodiversità, stima che il pianeta Terra sia popolato all’incirca da otto milioni di diverse specie viventi comprendenti batteri e mammiferi, piante e uccelli, insetti e rettili, sia di tipo acquatico che terrestre. Benché solo il 13% di esse siano state descritte, molte rischiano di scomparire prima di riuscire a farlo. Basti dire che nel XX secolo, si sono estinte almeno 543 specie di vertebrati mentre si teme per la sorte di altre migliaia di specie inserite nella lista rossa dell’Unione internazionale della conservazione. Rischia l’estinzione il 40% degli anfibi, il 33% dei coralli, il 31% degli squali, il 14% degli uccelli. Per non parlare degli insetti la cui popolazione si riduce del 2,5% all’anno. L a perdita massiva di biodiversità non è un fatto nuovo per il nostro pianeta. In passato si contano addirittura cinque estinzioni di massa, dovute principalmente a eruzioni vulcaniche ed altri eventi geologici che hanno ostacolato la vita. L’ultima è avvenuta durante il Cretaceo, 66 milioni di anni fa, per l’urto di un asteroide che spazzò via il 76% di tutte le specie viventi. Fra esse anche i dinosauri. Ora gli studiosi pensano che ci troviamo nel mezzo di una sesta estinzione di massa che mette a rischio l’esistenza del 25% di tutte le specie viventi. Ma questa volta non per colpa di fenomeni geologici, bensì dell’agire umano. I grandi accusati sono la deforestazione, l’agricoltura intensiva, l’inquinamento industriale.

Secondo la Fao le foreste custodiscono l’80% della biodiversità che popola le terre emerse, ma preoccupa il ritmo di deforestazione. Diecimila anni fa, le foreste coprivano il 57% delle terre fertili. Nel 2018 la percentuale la troviamo scesa al 38%, una perdita equivalente a due volte la superficie degli Stati Uniti. Ma è inutile puntare il dito contro i popoli antichi: metà della deforestazione è avvenuta nell’ultimo secolo. Nel solo 2020 il mondo ha perso un’area forestale grande come tutta l’Olanda. Le foreste sono aggredite per il loro legname, le ricchezze del sottosuolo, le opportunità offerte dai corsi d’acqua, anche se la causa principale di deforestazione è l’accaparramento di nuove terre da destinare ad allevamenti e a coltivazioni agricole per l’industria agroalimentare. Così veniamo all’altra grande causa di perdita di biodiversità: l’agricoltura di tipo industriale che attraverso un uso eccessivo di fertilizzanti, antiparassitari, diserbanti e mezzi pesanti, distrugge la vita presente nei suoli agricoli. Si stima che il suolo ospiti il 25% di tutta la biodiversità esistente sul pianeta: da insetti a funghi, da lombrichi a batteri, da molluschi a virus. Varietà estremamente diverse fra loro per dimensione e forma di vita, ma tutte fondamentali per arricchire il terreno di nutrienti, regolare la presenza di acqua e svolgere molte altre funzioni utili allo sviluppo delle piante. Il loro sterminio degrada la terra a polvere che viene spazzata via dai venti o dilavata dalle piogge, trasformando i terreni in substrati sterili. A scala planetaria il 20% della terra agricola mostra ormai segni di declino persistente nella capacità produttiva. A causa dell’erosione, nella sola Europa si perdono ogni anno 970 milioni di tonnellate di suolo fertile, 24 miliardi a livello mondiale.

Le deforestazione e l’inquinamento del suolo e dei mari mettono in pericolo la biodiversità sulla Terra. La risposta? Ridurre, recuperare, riparare, riciclare

Ma oltre che per la fertilità dei terreni, la biodiversità è di fondamentale importanza anche per l’impollinazione. Si stima che le specie animali utili all’impollinazione siano all’incirca 300mila, anche se le api hanno il posto d’onore. È stato calcolato che grazie al loro lavoro si ottengono ogni anno raccolti di un valore compreso fra i 235 e i 577 miliardi di dollari. Ciò nonostante non ci facciamo scrupolo a sterminarle: un articolo pubblicato sul “One Earth Journal” rivela che le varietà di api viventi oggi sono il 25% in meno di quelle esistenti prima del 1990. I veleni usati in agricoltura sono i primi responsabili della loro scomparsa, ma un contributo importante lo danno anche i cambiamenti climatici e le altre forme di inquinamento derivanti dalle attività industriali. Le stesse che arrecano danno alla biodiversità marina.

Fino agli anni 70 del secolo scorso, gli oceani erano considerati alla stregua di vere e proprie discariche. Nei mari veniva “smaltito” di tutto compresi rifiuti chimici e radioattivi. Poi con la firma del Protocollo di Londra, nel 1996, sono scattati molti divieti, ma incidenti e comportamenti illegali continuano a rappresentare un pericolo per gli oceani. Oggi una delle minacce più gravi viene dalle plastiche. Si calcola che ogni anno, dai 4 ai 12 milioni di tonnellate di plastica finiscano nei mari di tutto il mondo causando l’80% dell’inquinamento marino. La maggior parte giunge ai mari sospinta dal vento o trascinata dai flussi d’acqua. Ma anche pescherecci, navi da trasporto e da crociera fanno la loro parte. Bottiglie, imballaggi, reti da pesca, sacchetti e qualunque altro oggetto in plastica, una volta in acqua si spezzetta in frammenti mi- nuscoli che scambiati per cibo sono ingeriti da pesci ed uccelli. Secondo gli studi più recenti sono 115 le specie marine a rischio di morte per soffocamento, ingestione, intrappolamento e ferite causate dai detriti di plastica.

Per tutelare la biodiversità bisogna uscire dalla mentalità del cow boy che fa razzia per la prateria ed entrare in quella dell’astronauta che preserva tutto. Proprio come propone l’economia circolare che vuole ridurre l’impatto sulla natura diminuendo il prelievo di risorse e la produzione di rifiuti tramite la politica delle “quattro R”: ridurre, recuperare, riparare, riciclare. Ed è positivo che a livello mondiale stia crescendo il numero di imprese orientate alla circolarità, ma sono ancora troppo poche quelle che si impegnano affinché i loro prodotti possano proseguire lungo la strada del recupero e del riciclaggio anche dopo l’uscita dalle loro fabbriche, quando sono nelle mani dei consumatori.

Per questo nel 2020 in Francia è stata perfezionata una normativa, denominata Legge anti-spreco, che fra gli altri punti prevede la graduale messa al bando di imballaggi e oggetti in plastica usa e getta, l’obbligo, per il 2025, di dotare tutte le nuove lavatrici di un filtro capace di trattenere le microfibre di plastica, il divieto alle imprese di distruggere cibo, vestiario e altro materiale invenduto, scegliendo, piuttosto di regalarlo alle organizzazioni benefiche o di riciclarlo, la messa a punto di strumenti informativi che permettano ai consumatori di valutare gli elettrodomestici e altri dispositivi elettronici in base alla loro durabilità e riparabilità, l’obbligo per i produttori di farsi carico dei costi di fine vita degli oggetti da loro venduti, l’obbligo per gli enti della pubblica amministrazione di riservare una parte dei loro acquisti a beni ottenuti con materiale riciclato. È la dimostrazione che preservare la biodiversità si può. Ma serve inventiva e volontà.