Lettere. La realtà e la vita vera, antidoti contro la dimenticanza di Dio
Caro Avvenire, «Milano, non dimenticarti di Dio!». Questo l’augurio che Benedetto XVI, sollecitato dal cardinale Angelo Scola alla consegna del pallio nel settembre 2011, fece a tutta la diocesi. Augurio che l’arcivescovo ripeté al termine della Messa di ingresso in diocesi e che monsignor Mario Delpini, pur con altre espressioni, ha ribadito venerdì scorso durante il momento dell’annuncio della sua nomina a nuovo arcivescovo di Milano. Sembra che la dimenticanza sia la nemica del tempo presente. Ma cosa significa 'dimenticarsi di Dio'? In questi giorni di oratorio estivo con moltissimi ragazzi, coi quali nulla è più scontato, più volte ho dovuto richiamarli a osservare la realtà, a vedere cosa stava accadendo (nei giochi, nella preghiera…). Sono e siamo come immersi in una grande bolla virtuale per cui ciascuno guarda a sé stesso. Questa bolla ha il potere di far dimenticare persino che siamo creati. La dimenticanza di Dio inizia, così, con la dimenticanza della realtà. Sono molte le cose per cui ringrazio per il dono che è stato il cardinal Scola, ma se devo individuarne una è proprio questa: la passione per la realtà, con qualsiasi volto si manifesti. In questi anni abbiamo respirato l’aria fresca dello spalancamento della Chiesa alla realtà così com’è. Senza censure, senza scappatoie, senza quelle vecchie ideologie che hanno trasformato persino Gesù in una 'causa' da perseguire facendo camminare generazioni di cristiani con la testa rivolta all’indietro… ma aria fresca. La realtà con le sue sfide, la vita vera, l’urgenza del quotidiano. Questi gli antidoti alla dimenticanza. E allora che la strada continui, che tutto si possa approfondire, e scoprire sempre di più. Grazie Eminenza, grazie di cuore.
Don Simone Riva
Il metrò della linea lilla, nuovissimo, senza conducente, procede veloce nel buio del tunnel. A Garibaldi una folla accaldata prorompe nel vagone. Sono seduta al primo posto della vettura di testa, mi piace stare a guardare il procedere del metrò nell’oscurità, alla luce dei fari. Accanto a me tutti hanno il cellulare in mano e leggono o digitano, assorti. Se qualcuno ci domandasse: che faccia aveva il tuo vicino di posto? non sapremmo assolutamente rispondere. «Sono e siamo come immersi in una grande bolla virtuale per cui ciascuno guarda a sé stesso», scrive don Simone. Mi pare di vederla allargarsi, questa gran bolla, nella luce giallognola del vagone. Siamo in cinquanta, qui, e sembriamo tutti soli. Mi colpisce il ricordo del tram che prendevo con mia madre da piccola, del bigliettaio che mi sorrideva, dei viaggiatori che si apostrofavano in milanese, o con un accento del sud. Non è una cosa da poco, guardarsi, almeno guardarsi. A Milano mi pare accada sempre meno. Scendo al Monumentale. Mi lascio alle spalle la gran mole austera del cimitero, ne conosco bene i viali deserti con la ghiaia che scricchiola sotto ai passi, e l’edera che cresce e copre le lapidi più antiche, in fondo al camposanto. Anche il Monumentale, a due passi dalle torri di cristallo di Porta Nuova, ripensando a questa lettera mi pare una gran bolla di silenzio, massiccia eppure straniera nel cuore della città. Al semaforo davanti al piazzale c’è sempre un mendicante in carrozzella, che si trascina lesto fra le auto in colonna. Quasi nessuno gli dà qualcosa. Lui volta la carrozzella e riparte, attende il prossimo semaforo, sotto al sole cocente. Aspetta. E i vecchi ricoverati dell’istituto di riabilitazione da cui sono appena uscita, un gran palazzo in fondo a viale Monza? Nei corridoi, nell’aria bollente del pomeriggio, seduti, immobili, zitti. Una, demente, continuava a chiamare la mamma. Anche loro dentro la metropoli torrida aspettano, sembrano aspettare qualcosa. «Milano, non dimenticarti di Dio», ci disse Benedetto XVI nella sua visita. Milano, che accolse a braccia spalancate Francesco. Una folla immensa. Tanto che veniva da chiedersi: ma, in tutti gli altri giorni, noi cristiani di Milano dove siamo? Siamo qui su questi vagoni del metrò, per queste strade, in questi uffici. Apparentemente uguali a tutti gli altri, forse anche noi distratti. Quel mendicante in carrozzella sotto il sole a picco, mio Dio, ogni giorno. Noi spesso stanchi, o impotenti, o impigriti. «Questa bolla ha il potere di far dimenticare persino che siamo creati. La dimenticanza di Dio inizia, così, con la dimenticanza della realtà». Don Simone Riva ringrazia il cardinale Scola e il suo successore, l’arcivescovo eletto Delpini, di questo sguardo sulla realtà. Occorre che ritroviamo, per non farci sommergere dalla bolla della indifferenza, proprio una passione per la realtà, per ciò che ogni mattina ci mette davanti. Guardare: la faccia dell’altro, la mano tesa di un mendicante. Ma anche fermarci a ascoltare, da fuori, le grida dei bambini che giocano in un oratorio. Le rose che si sporgono dai cancelli dei nostri magri giardini milanesi. Le fiamme delle candele che tremano nelle nostre chiese, tese come preghiere. Guardare la realtà, il volto dell’altro, il mondo, recuperando una memoria: siamo creature, siamo figli di un Dio che ci conosce uno a uno, e non ci dimentica mai.