Ucraina. La realtà della guerra nell'era digitale e il bene di affidarsi a Maria
Armi, cibo, medicine. E internet. La guerra cambia. Si è sempre nutrita di informazioni e contro-informazioni, ma quella in Ucraina è stata definita la prima social media war. E internet e i sistemi per mantenere la connessione diventano salmerie, aiuti umanitari. L’oligarca americano Elon Musk invia in Ucraina tir di server, router e parabole per permettere la connessione al suo sistema satellitare Starlink che garantisce connessione efficiente in ogni angolo, o quasi, del pianeta, senza la tradizionale infrastruttura di server e cavi di terra che tutti usiamo e conosciamo. Nella metamorfosi digitale anche la guerra, così antica, così purtroppo parte del nostro essere umani, in qualche modo cambia.
La guerra è sempre tecnologica, a mani nude uccide Caino ma per ira o per raptus, quando la guerra è guerra ha sempre un gradiente tecnologico anche se la supremazia tecnologica non è detto che definisca gli esiti del conflitto, come ci hanno insegnato Vietnam o Afghanistan. Ma questa è una guerra in Occidente che ha tutti i tratti della trasformazione digitale e della cultura tecnica che la genera. Una condizione, quella digitale, sempre di più e del tutto immateriale e smaterializzata, che negli scenari evocati, desiderati o temuti del metaverso trasferisce in un ambiente digitale le nostre esperienze esistenziali.
Tuttavia in questa temperie culturale il corpo si riprende il suo spazio, anzi, la rappresentazione neorealista del corpo e delle macerie diventano, smaterializzati nella narrazione digitale, uno strumento essenziale di guerra. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è passato da 500mila a 4milioni e mezzo di followers in meno di una settimana dall’inizio del conflitto, ha bisogno che le immagini dell’ospedale di Mariupol facciano il giro del mondo, chiama a raccolta attorno a sé i potenti della terra con hashtag e tweet e si lamenta, in diretta, dell’assenza di risposte, come è avvenuto con Mario Draghi. Le feluche hanno i loro tempi che il digitale macina e mastica a ritmi totalmente distopici rispetto a quel mondo. Perché Draghi, dopo quel tweet di Zelensky, si è prontamente connesso. La relazione tra materiale e immateriale diventa così tanto stretta e stringente, nel dramma della guerra, che la distinzione tra reale e virtuale tramonta forse per sempre.
Occhio non vede cuore non duole, recita il vecchio adagio che la guerra nella condizione digitale non solo non smentisce, piuttosto acuisce. Se si combatte sul campo ancora di più si combatte in rete con non minore violenza: ospedale pieno, ospedale vuoto, ospedale dei martiri, ospedale dei furbi che ne fanno un avamposto militare.
L’opinione pubblica russa, sino a che non è stata imbavagliata del tutto, si è spaccata in due. Giovani contro la guerra da una parte, adulti e anziani schierati con Putin contro i presunti fascisti che si nascondono in Ucraina. Le generazioni cresciute in un mondo globale sono state educate a guardare oltre lo schermo di casa, la visuale offerta dal governo, la narrazione di partito. E questa possibilità è nata grazie alla trasformazione digitale. Non basta, ma non è poco se pensiamo al futuro.
La strada è quella di continuare a educare i giovani a una identità globale, che non snaturi le istanze locali ma che faccia comprendere come esse possano darsi, come il bene del singolo, solo in un bene comune globale. Questo avviene in una condizione democratica, e la condizione democratica nasce quando il potere è nelle mani del popolo, nelle mani di tutti, quando il potere è suddiviso. La tecnologia digitale – pur in tutti i regimi di monopolio di questa prima fase di metamorfosi – restituisce molti poteri a tutti. Quello di informare, di informarsi, di condividere pensiero, di aggregare attorno a un pensiero. Strumenti che sono di pace perché disinnescano i poteri che generano le guerre.
Ma tutto questo può non essere sufficiente in assenza di una coscienza formata, senza una identità matura, senza le condizioni affinché vi siano identità, coscienza e formazione. Ecco allora che la consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore di Maria è una ulteriore parte della risposta. Non devozione usurata, come qualcuno sta scrivendo, ma profezia teologicamente e pedagogicamente strutturante. A maggior ragione nella condizione digitale. La Vergine Maria è segno e profezia di un cuore che, abitato da Dio, è capace di custodire una notizia e farne discernimento.
La tecnologia da sola non salva, ma unita a una coscienza che si apre alle profondità di Dio ha una potenza di bene, è capace di operare la pace, in modo formidabile. La virtualità se crea un ambiente che rallenta i tempi e dona il tempo di ascoltare le istanze profonde dell’umano, tenendole lontane da sirene e tempeste, restituisce capacità di senso e discernimento. Quante volte noi adulti abbiamo scosso la testa vedendo i giovani immersi in un cellulare o negli auricolari.
Forse molti non cercavano di evadere quanto piuttosto di trovare uno spazio di bellezza in mezzo agli spazi grigi che noi adulti abbiamo lasciato loro. La guerra è brutta, ma è una lente di ingrandimento su di una parte di quello che siamo, siamo diventati e potenzialmente possiamo diventare. In un mondo digitale.