C’era una battuta che girava a Mosca, ai tempi di Giovanni Paolo II, e tornava puntualmente ogni volta che "saltava" una nuova ipotesi d’incontro tra il Pontefice e il Patriarca russo, magari quando già sembrava fatta, come fu per Vienna nel 1997: «Tanto, finché ci saranno un Papa polacco e un Patriarca estone (Alessio II era nato a Tallin,
ndr), non si farà mai». Una battuta piuttosto feroce, se si vuole, ma che fotografava un elemento non certo di secondo piano nel complesso, intricatissimo nodo gordiano che sarebbe stato necessario sciogliere prima che quell’atteso, sospirato incontro potesse concretamente realizzarsi. Nodo in cui i due 'pilastri' sui quali Mosca, dalla caduta dell’Urss in avanti, ha fondato la propria opposizione a ogni possibile avvicinamento - le accuse di 'proselitismo' e il problema del cosiddetto 'uniatismo' - sono sempre apparsi gli specchietti per le allodole per nascondere la formidabile complessità dei problemi sul terreno; e tra questi certamente non ultimi, anzi, quelli intra-ortodossi. Sia quelli interni allo stesso Patriarcato, sia quelli delle relazioni tra Mosca e le altre Chiese ortodosse, a iniziare da quelli sempre notevolmente tesi, spesso drammatici, col Patriarcato di Costantinopoli, problemi che queste Chiese si preparano (finalmente, dopo decenni di vani tentativi) ad affrontare nel Sinodo panortodosso del prossimo giugno. Con tale nitida consapevolezza, da Roma, nello svolgersi di questa storia non s’è mai cessato di credere nella possibilità di riuscire nell’'impresa'. Continuando a tessere la delicata, e fragile, tela del dialogo, e contrappuntando quest’ultimo con gesti all’apparenza nostra - di sicuro fortemente simbolici, sì, ma certo non 'enormi' come sono stati concretamente vissuti dal mondo ortodosso russo. Due fra tutti: il «dono», o «restituzione», dell’icona della Vergine di Kazan custodita nell’appartamento papale, e accolta con un’emozione difficile da descrivere nella Cattedrale della Dormizione al Cremlino, nel 2004; e nel 2009 il calice inviato in dono da Benedetto XVI al neo eletto Patriarca Kirill, «pegno del desiderio di giungere presto alla piena comunione», premessa per la ripresa di un dialogo teologico congelato da anni. È su queste premesse che s’è potuto costruire l’incontro che tra qualche giorno, a Cuba, vedrà finalmente faccia a faccia, dopo mille anni, il Papa di Roma e il Patriarca di Mosca. La spinta finale, decisiva, è sicuramente venuta dallo stile - potremmo dire anche 'dal marchio' che Francesco sa imprimere a tutte le cose fa. E che nella frase pronunciata in aereo, tornando da Istanbul, nel novembre del 2014 - «Gli ho detto (a Kirill,
ndr): io vengo dove tu vuoi. Tu mi chiami e io vengo. E anche lui è d’accordo. Abbiamo la volontà di trovarci» - ha saputo tradurre, plasticamente, la storica apertura di Wojtyla nella
Ut unum sint del 1995, con la «disponibilità» a discutere le forme del primato petrino, e di cui effettivamente si iniziò a discutere a livello teologico a Ravenna, alla ripresa del dialogo teologico, fortemente voluta da Ratzinger. Kirill, dalla sua parte, ha saputo e voluto cogliere con altrettanto coraggio questa opportunità, consapevole che la situazione internazionale, specie in un Medio Oriente che ha messo i cristiani nel mirino senza fare troppe distinzione tra le loro diverse denominazioni, non concede più alibi a distinguo di sorta, e più che mai invece chiede, anzi esige, che i cristiani si mostrino figli dello stesso battesimo, in nome di quell’«ecumenismo del sangue» che è più forte di ogni divisione. In tutto questo Cuba, per storia e geografia, davvero appare il posto 'perfetto' per questo nuovo inizio. Estranea ai conflitti che hanno segnato una storia millenaria, e porta del continente che oggi conta il maggior numero di cristiani, e da dove veramente l’ecumenismo può ripartire con un passo nuovo. Il 23 novembre del 2007, chiamato da Benedetto XVI a parlare, di fronte ai cardinali riuniti in Concistoro, su 'Informazioni e riflessioni sulla situazione ecumenica attuale', l’allora presidente del pontificio Consiglio per l’Unità dei cristiani, Walter Kasper, affermò che nei rapporti con gli ortodossi negli ultimi due anni era emerso «un decisivo miglioramento a livello di atmosfera e di rapporti, nonostante la partenza della delegazione russa per motivi inter-ortodossi», al punto da poter dire che «è iniziata così una promettente 'terza fase' di dialogo».
Quello che si prepara a Cuba
è, verosimilmente, l’inizio di una “quarta fase”. Della quale forse
è ancora difficile immaginare gli sviluppi, ma che certamente segna una svolta.
La piena unità è, sì, ancora molto lontana. Ma, come dice papa Bergoglio, «l’importante è camminare insieme», perch
é «camminare insieme è gi
à fare l’unit
à».