Opinioni

Se il termine «persona» sale alla ribalta. La qualifica più importante. Negarla oggi un gioco

Gabriella Sartori martedì 11 novembre 2008
Persone, esseri umani? Sono giorni duri per parole come queste: soprattutto perché non solo di parole si tratta. Ha cominciato per primo, dal pulpito di un congresso internazionale di neonatologia, l'ormai tristemente famoso neonatologo in pensione di Pordenone, il quale, munito anche di laurea in filosofia e specializzato in bioetica (ad una scuola di pensiero «diversa da quella della Chiesa cattolica», come l'attempato allievo ha tenuto a precisare) ha diviso l'umanità tra "persone" e "non persone", (di cui non ha mancato di stilare un lungo, raggelante "elenco") da lui definite «entità umane» per le quali, in certe condizioni, «il meglio è non proseguire la vita». Parole e concetti, d'altronde, sostanzialmente coincidenti con quelle di tanti celebrati "maestri di pensiero". Non si era ancora spenta l'eco delle molte indignate prese di distanza da questi discorsi, che un vegliardo, giallista di successo, chiamato a dar prova della sua umanità e cultura davanti ai liceali di una famosa scuola romana, ha detto che la ministra Gelmini «non è un essere umano» e che «bisognerebbe chiamare i professori di chimica per sapere cos'è». Anche stavolta, molte sono state le prese di distanza da espressioni di tanta e tale pesantezza. A cominciare da tanti compagni di schieramento del famoso scrittore. Duro l'ex ministro Fioroni: «Chi non rispetta la dignità delle persone o declina quel rispetto solo in base a simpatie politiche, si comporta in modo grave». E il senatore Tonini: «Parole gravi non solo in sé ma anche perché pronunciate davanti ad una platea di giovani». A loro si sono aggiunti, con condanne non meno decise, anche il senatore Russo Spena e altri. Tutto bene quel che finisce bene? Si, ma non troppo. Perché è difficile pensare che tutto questo parlare, per così dire a vanvera, di "esseri" o "non esseri" umani, sia solo un caso. E perché parole così inaccettabili sono uscite, quasi contemporaneamente, dalla bocca di persone che " in un modo o nell'altro " sono degli intellettuali, che " per "definizione" " dovrebbero non solo esser abituati a pensare prima di parlare, ma anche a conoscere meglio degli altri il peso e il significato delle parole. Il dubbio è che, ormai, si sia tanto radicato un certo modo di pensare e di definire l'essere umano, di classificarlo su basi strettamente "scientifiche" e "quantitative" (solo pochissimi cromosomi più di una scimmia, anzi una "scimmia nuda" come recita il titolo di una mostra che ha girato per tutte le scuole, ecc.) o in base al primitivo schema amico/nemico, per cui l'idea che l'essere umano sia riducibile ad "una cosa", o comunque ad una "non persona", finisce per uscire dal profondo del cervello traducendosi in "parola". E parola pronunciata in pubblico, come si fa con qualcosa di cui ormai non c'è più ragione di "vergognarsi". Che queste idee escano finalmente alla luce può far male: ma la cosa ha anche il merito di indicare con chiarezza il punto a cui si è arrivati, a considerare cioè l'essere umano per quello che certamente non è (una non-persona, anche solo perché è un "debole" o un "nemico"). Tuttavia, negli stessi giorni, un esempio positivo c'è stato: ed è venuto, chi se lo sarebbe aspettato, da uno stadio di calcio, il Bernabeu di Madrid. È qui che una folla enorme di tifosi ha tributato un corale applauso al campione avversario, Del Piero, autore di una doppietta di splendidi goal, vedendo in lui non colui che sconfiggeva la squadra del cuore, non il "nemico", ma la persona. E ne ha riconosciuto cavallerescamente il valore esprimendo al meglio la gioia " questa sì davvero "umana" " che questa scoperta sempre dà a chi è rimasto uomo fino in fondo. Che lezione signori "scienziati", che lezione signori scrittori. Ne siano rese grazie a Dio.