La prudenza della Chiesa e i veri beni da tutelare con lucidità, senza fanatismi
Gentile direttore,
sono un cattolico di 92 anni che ormai non riusciva quasi più a partecipare alla Eucaristia festiva (mi portavano la Comunione a casa, prima della pandemia). E, fra le lettere che giungono al 'nostro' quotidiano circa il permanere del divieto di Messe con il popolo anche nella Fase 2 dell’emergenza, vedo prevalere quelle con motivi di 'magnanimità'. E anche ragionamenti sull’adeguamento della spiritualità ai nuovi tempi. Cose, mi permetto di dire, fuori tema. Ma forse noi cattolici, e penso a noi fedeli come ai pastori che ci rappresentano nel rapporto con lo Stato, abbiamo avuto dubbi a 'chiudere tutto' nella Fase 1, quella del lockdown, proprio come era previsto per ogni altra forma di raduno? Mi pare, insomma, che si travisino due problemi. 1) Sono richieste a tutti giuste e precise cautele di 'distanziamento' per tutto ciò che ora si va riaprendo: per quali ragioni non si potrebbero richiedere precise cautele simili anche per le Messe in parrocchia o nei santuari? Aver escluso senza motivazioni la partecipazione alla Messa o ad altri riti religiosi cattolici e di altre religioni, è suonato, sì, come un 'divieto di culto'. 2) In questo periodo pasquale ho imparato a partecipare via tv o radio anche a Messe feriali (non l’avevo fatto quasi mai). E ho anche invitato i miei figli per Pasqua a 'fare unione' virtuale... Eppure vorrei ricordare a tutti – bravi preti e fedeli, tecnici e no – che la Chiesa non è solo il Papa e che essa nella nostra tradizione, da millenni, è costituita di comunità parrocchiali, dove 'pastori e pecore' si sono formati uniti al Vangelo e fra loro. Con le dovute cautele lo si può fare ancora, nella Fase 2 e in quelle che verranno. Quante parrocchie con 'i nuovi mezzi' hanno potuto proseguire la vita comunitaria anche in territori e regioni dove il contagio è stato ed è minimo? Insomma, anche da credenti siamo stati 'in vacanza' forzata, ma non possiamo nasconderci stabilmente nel privato! Mi scusi, direttore, io parlo sempre chiaro.
Gentile direttore,
il 26 aprile il Governo ha dettato l’agenda della Fase 2 ed è partito subito un diluvio di critiche di chi avrebbe voluto ripartire e non ha potuto e ancora non può. Sono evaporati come neve ad agosto quelli che chiedevano un mondo 'diverso da prima', e mi è spiaciuto che nella mischia si sia gettata anche la Chiesa, per la verità più quella del vertice che quella di base. Sono rimasto tra i pochissimi, forse l’unico considerando la fascia d’età (48 anni), a non avere internet. E sono anche cattolico praticante: potete quindi immaginare che opinione abbia della 'fede virtuale'. Ma qui è questione di forza maggiore: non è pensabile tenere chiuse le scuole, quando nessuno studente è morto di coronavirus, e poi aprire le Chiese, dove purtroppo l’età media di tanti fedeli è simile a quella dei più colpiti dall’epidemia. Nella chiesetta dove prendo Messa e dove spero anch’io di tornare presto, sono quasi sempre il più giovane, e si tratta di un quartiere popolare dove i giovani abbondano: su questo dovrebbe interrogarsi chi si scalmana per una settimana in più o in meno di stop. Il cristiano ha infinite possibilità di fare il cristiano anche senza 'scaldare la panca', e la preghiera non ha meno forza se fatta in solitudine, anzi.
Gentile direttore,
sono cattolica e prima del virus a volte andavo a Messa anche nei giorni feriali. Ovviamente avrei desiderato una Pasqua in parrocchia e non in streaming, anche se la sobrietà delle celebrazioni di papa Francesco è stata un grande segno di ciò che è essenziale. Scrivo ora per esprimere il mio dispiacere per la reazione della Cei al prolungamento della proibizione di celebrare pubblicamente l’Eucarestia. Può darsi che si tratti di eccessiva prudenza, ma certamente non si tratta di ostacolare la libertà di culto. È vero che ci sono alcune chiese immense con poca gente, ma spesso nei giorni festivi l’affluenza abituale non consentirebbe le distanze prescritte. Il 'pubblico' di una Messa domenicale è paragonabile a quello di un teatro o di una sala conferenze, attività tuttora sospese.