Opinioni

Dall'Arena di Verona. La prospettiva della pace: trovare le chiavi della convivenza

Andrea Riccardi domenica 19 maggio 2024

In pochi anni, è avvenuto un cambiamento profondo: la pace è scivolata via dai dibattiti internazionali. In primo piano c’è la guerra. Si considera spesso la pace come un’aspirazione da “anime belle”, a volte apprezzate per l’ingenuità, a volte disprezzate o accusate di complicità con chi invade, fa la guerra e via dicendo. In qualche anno, si è formato questo pensiero prevalente dal sapore amaro, ma che si vuole realista. L’aggressione russa all’Ucraina è stato il punto di svolta. Da allora la prospettiva è combattere o aiutare a combattere. Del resto, la resistenza ucraina ai russi s’è imposta per forza e sacrificio.

La prospettiva della pace è oscurata da tante guerre. Il brutale attacco terroristico di Hamas a Israele e il rapimento degli israeliani hanno innescato una rappresaglia che non trova fine. Il mondo è in guerra su vari fronti. Merita ricordare la guerra interna al Sudan, con grave danno della gente, costretta alla fame o a lasciare le proprie case. In Africa, il terrorismo islamista provoca dolori e conflitti: Sahel, Mozambico e altrove. Il Kivu, in Congo, è terra di scontro tra Stati africani.

La guerra è ormai uno strumento per affermare i propri interessi. Addirittura – è il caso degli islamisti – si fa la guerra per esistere e allargare l’influenza.

Di fronte a questo, come sfuggire al ricatto della guerra se non aumentando l’apparato militare? In queste settimane, in Europa si è riflettuto sulla capacità dell’Unione di difendersi e di produrre autonomamente armi, anche nel caso di scelte isolazioniste americane. A questo, si aggiunge la crisi delle istituzioni internazionali, come l’Onu, luogo principe di composizione dei conflitti, ma pure memoria di un “bene comune” internazionale.

Quale futuro per un mondo che ha retrocesso la pace a sogno improbabile? Ogni guerra è diversa. Prendiamo il caso dell’Ucraina, oggi in difficoltà nella risposta militare ai russi. Macron ha parlato di possibile intervento francese nel Paese. I russi hanno di nuovo ventilato la minaccia atomica. Parole? Forse, ma dalle parole è facile scivolare ai fatti, cioè a un conflitto più largo che coinvolga l’Occidente. Finora non è avvenuto, ma è possibile un incidente, seppure gli apparati militari e di intelligence si parlano. Ogni giorno si rischia. Un’affermazione russa in Ucraina provocherebbe un impegno (diretto) dell’Occidente. La distruzione di Gaza e lo sradicamento di Hamas non hanno risolto il problema dei palestinesi, per il cui Stato non sembra esserci spazio nell’ex Palestina. Questa situazione produrrà nuovi conflitti o terrorismo. È l’eternizzazione dei conflitti nell’attuale situazione geopolitica. In Kivu da vent’anni si combatte e siamo alle soglie di una guerra più grande.

Per uscire dal tunnel (o da più tunnel), occorre tornare a parlare di pace. La pace non è mai perfetta. Ma bisogna mettere la pace al centro dell’agenda internazionale. Gli Stati Uniti, a pochi mesi dalle elezioni presidenziali, non sono nel momento migliore per un’azione simile, ma c’è bisogno di loro. La Cina, legata alla Russia, ma anche desiderosa di un mondo tranquillo, ha un grande compito con il suo alleato. L’Unione Europea, sfidata da una guerra alle porte, non riesce a trovare il passo di una diplomazia lungimirante. Bisogna moltiplicare l’iniziativa diplomatica, creare contatti, rompere l’isolamento (che porta a visioni distorte), esplorare le prospettive dei vari attori, trovare convergenze. Lo si deve fare, perché non si può vivere sempre in guerra. Non lo possono gli ucraini, che stanno pagando un prezzo enorme in vite, emigrazione, distruzioni. La pace non è facile, ma bisogna assumerla come prospettiva: un ribaltamento della cultura di guerra. Questo è il desiderio, sovente inespresso, di tanti popoli. Eredità della storia per gli europei, che dovrebbero ricordare gli orrori della Seconda guerra mondiale e la Shoah. Sul ripudio di quella storia, è stata realizzata la ricostruzione democratica in Italia e in Germania.

Nell’odierno caos internazionale, niente è scontato. Classi dirigenti o leader, chiusi in un’ottica nazionalista, devono essere aiutati a maturare una migliore intelligenza dell’interesse del proprio Paese. Infatti la sicurezza di uno Stato o di un popolo è soprattutto la pace. La guerra è un ingranaggio che si perpetua: non risolve le crisi ma le rinfocola preparando nuovi conflitti. C’è l’esigenza invece di ricostruire l’ordine internazionale, includendo i vari attori con le loro differenti prospettive. È difficile compiere tale operazione in un mondo così multipolare, tra soggetti spesso dotati di forza economica e militare, ma è necessario. È la grande politica di cui c’è necessità. Abbiamo bisogno di statisti lungimiranti che non cerchino solo di aver ragione oggi, ma trovino le chiavi della convivenza futura.