La speranza e la resistenza. Una frattura dolorosa tra la popolazione russa e ucraina
Una frattura dolorosa tra la popolazione russa e ucraina, e la speranza di chi sa resistere La guerra in Ucraina sembra avviata su un percorso senza sbocco, dove l’unica soluzione è l’abbattimento, anzi l’annientamento dell’avversario e con lui del suo popolo. Un quadro comodo per chi preferirebbe una prospettiva chiara e banalizzata dove è più facile anche serenamente odiare gli altri, il nemico, sentendosi pure nel giusto.
Perché “loro”, gli altri, ci odiano e ci vogliono cancellare dalla faccia della Terra. È quanto mi sento dire da russi e ucraini quando incontro chi non vuole neanche provare a esercitare uno sguardo che non si esaurisca negli occhi della guerra e sappia andare oltre quella logica. Comprensione e solidarietà umana per chi in Ucraina viene colpito con brutalità dall’Armata Russa e ha perso figli, genitori, nonni sono sacrosante e doverose. Non si può chiedere a chi sta subendo un dolore straziante, di essere pronto a riconoscere e subito solidarizzare con chi sull’altro fronte e, pur con sofferenza e pericolo, si oppone a questa guerra, a chi grida «Non in mio nome!» e tende la mano al popolo aggredito.
«È troppo presto. La ferita è aperta e sanguina», mi dicono Nadja, giornalista rimasta a Mosca, e Ksenja, da Berlino, attivista impegnata da sempre nella ricerca infaticabile di relazioni per costruire ponti e smontare i muri dell’odio. Un dialogo sincero fra madri, come già in Cecenia, è ancora molto difficile. Eppure, si continua a cercarlo. A costruire le condizioni per la fine di quella guerra in cui morirono 200mila persone, sono state loro le “Madri dei soldati” come ha ricordato il premio Nobel Dimitri Muratov in una recente intervista al blogger Yury Dud (dieci milioni di follower su Youtube). Ma la propaganda continua a instillare acrimonia e odio verso gli ucraini rei di esistere, di pretendere di decidere del proprio destino, e verso l’Occidente che – si accusa – vorrebbe la sparizione dalla faccia della Terra di tutto il popolo russo, ma proprio tutto.
A partire da questo cozzo tra odio e terrore, si incita alla guerra per difendere il “mondo russo”, richiamandosi senza senso a scrittori e musicisti che della cultura russa sono l’espressione più nobile e alta, amati universalmente. Richiamandosi persino a Tolstoj padre riconosciuto della nonviolenza. A bordo della nave che mi porta da Helsinki a Tallin discuto con una signora russa che vive da anni in Estonia. Sposata con un estone, tre figli che vivono in Finlandia e Norvegia, putiniana di ferro. Dice concitata che da anni la situazione si è incancrenita per l’odio che gli estoni ma soprattutto gli ucraini mostrano verso i russi. «Non era più possibile accettare questa piega delle cose. Bisognava intervenire per mettere fine all’aggressione contro i russi che vivono in questi Paesi». Le chiedo se può accettare l’uccisione in Ucraina di cittadini innocenti, bambini, donne e anziani inermi. Risponde: «È la guerra. Certo che mi dispiace.
Ma cos’altro si poteva fare?». Mi azzardo a dire «Negoziati?». La replica è secca: «Gli accordi di Minsk li hanno calpestati gli ucraini. Noi russi ci abbiamo messo tutta la nostra buona volontà, ma c’è un limite a tutto». Un esempio di vicolo cieco della ragione, dove soccombe anche la pietà. E in fondo al vicolo si distoglie lo sguardo, per non vedere l’orrore. La contraddizione emerge quando chiedo alla signora: «Perché allora non torna in Russia?». Risponde «Qui in Estonia si sta molto meglio. C’è tutto, e tutto funziona». C’è anche la libertà di esprimersi, che in Russia è oppressa da decenni. Ma questo è un tema che non la interessa. Un altro esempio della frattura generazionale e dell’“appartenenza storica” alla l’idea del “mondo russo” delle fasce di età più anziane, dice Nadja da Mosca, «sono gli apatici».
E spiega: «A costoro va aggiunta quella numerosa frangia di popolazione che dopo la fine dell’Unione Sovietica ha vissuto la scoperta di una dimensione prima sconosciuta. Parlo di una fascia sociale che, fino all’inizio di questa nuova e terribile fase della guerra d’Ucraina, si concedeva vacanze all’estero ogni anno e una serie di piccole e grandi soddisfazioni». Quanto è bastato per farli disinteressare alla politica e per non percepire il bisogno e l’importanza della partecipazione per una vita democratica. Chi, invece, ha maturato il bisogno di aria libera, l’esigenza di giustizia e democrazia, soprattutto nelle generazioni più giovani e non ha abbandonato il Paese per dissenso sulla guerra (gli uomini anche per non andare al fronte), resta aggrappato alla condivisione con chi la pensa allo stesso modo. Sanno di essere tanti, nonostante tutto. Studiano, lavorano e soprattutto pensano e si informano attraverso i canali indipendenti che il regime di Putin non riesce a censurare. E sono loro la speranza, per la Russia e per tutti noi.