Se il Pontefice volesse fare un richiamo diretto ma efficace alla famiglia, in Italia, potrebbe forse utilizzare la celebre frase con cui Bill Clinton, grazie al suo consigliere James Carville, vinse contro George Bush senior alle elezioni del 1992: «
It’s the economy, stupid!». Già, questa è l’economia… Ma è forse bene che così non sia: il Pontefice non guarda alla politica bensì alle persone umane, con i loro problemi reali, ed è per questo motivo che si preoccupa della vulnerabilità della famiglia e «dei tanti problemi che la mettono alla prova». Ma anche in Italia, come negli Stati Uniti di allora, il problema è l’economia: e l’economia può riprendersi solo se le famiglie sono economicamente solide.La classe politica italiana confonde il fatto di un numero crescente di anziani – l’aumento della speranza di vita in buona salute dovrebbe essere una conquista e non un problema – con la vera emergenza del crollo del numero di giovani. Nel giro di solo 14 anni, fra il 2000 e il 2014, i giovani fra i 20 e i 39 anni sono diminuiti di 2 milioni, nonostante l’aumento dell’immigrazione. E nel 2014 il numero di nuovi nati è in ulteriore diminuzione, pur con il contributo dei figli di nuovi immigrati. Sarebbe un grossolano errore di ragionamento sostenere che vi sono meno giovani perché vi sono più anziani: se mai meno giovani, come per le primizie al mercato, dovrebbero comandare un prezzo di mercato più elevato, cioè un maggior reddito da lavoro, perché le imprese competono per una risorsa diventata più scarsa.Ma è anche possibile che troppi anni di crisi economica abbiano ridimensionato il sistema delle imprese in Italia: forse ci siamo ristretti, siamo diventati più piccoli e allora anche un minor numero di giovani diventa comunque in eccesso. È possibile: dopo tutto il Pil nel 2014 è tornato indietro al livello del 1999, e però con un numero di abitanti maggiore di 4 milioni. È possibile, ma non è inevitabile. Il tenore di vita è diminuito, e se vogliamo restituire speranze ai giovani, come su queste pagine è stato ricordato con forza (e dati alla mano) anche ieri, è dalle politiche per la famiglia che bisogna iniziare: l’inazione ci sta condannando a un rapido e implacabile declino.È miope disegnare foschi scenari di un conflitto fra generazioni, come se mettere i padri contro i figli aiutasse ad aumentare il reddito disponibile per la famiglia di genitori e figli: al meglio il figlio può prendere il posto del padre, ma con un reddito più basso. Per riprendere il cammino occorrono priorità e papa Francesco afferma con forza che la priorità deve andare alle famiglie povere. Ma anche il laico economista dovrebbe suggerire le medesime priorità, perché nel corso della duplice recente crisi le famiglie con figli sono quelle in cui il rischio di povertà assoluta è raddoppiato: avere figli è diventato un rischio che cresce con il numero di figli e avere più figli è diventata una scommessa sul futuro, una sfida al destino e, solo per i più abbienti, un desiderio che può essere soddisfatto senza vincoli.Il declino della natalità è un fenomeno complesso, in cui il privato si intreccia in modo inestricabile con il sociale, e la cui evoluzione ha nella famiglia linfa e radici. La libertà è una questione centrale nel dibattito politico: ma come spiega il filosofo Gerald MacCallum «affermare che un individuo è libero di avere una famiglia, quando ciò che si vuol intendere è solo che egli è libero da restrizioni legali nell’averla, è invitare al fraintendimento, perché possono esistere vincoli economici e sociali tali da impedirgli di avere una famiglia qualora volesse». Qualche Paese, come la Francia, ha politiche familiari con questa concezione di libertà e per questo possiede anche "fondamentali" economici solidi. Da noi sono ancora tutte da costruire, ma è urgente farlo per evitare, come sottolinea il Papa, di tagliare alla base il pilastro-famiglia che sorregge tutta la società.