Opinioni

Piano del G8 e tutela delle minoranze. La primavera araba si aiuta anche con i no

Andrea Lavazza sabato 28 maggio 2011
Venti o quaranta miliardi di dollari. Fra qualche settimana o fra qualche mese. In che modo e per fare che cosa, non specificato. Il G8 che si è chiuso ieri a Deauville lancia uno slogan a effetto con il Piano a sostegno della primavera araba, ma lascia aperto il dubbio che all’annuncio non corrisponda, come spesso è accaduto in passato, un concreto impegno a onorare la promessa. Sostenere le democrazie che stanno fiorendo sulla sponda sud del Mediterraneo è un compito strategico fondamentale, che giustamente dovrebbe essere in cima all’agenda dei Grandi. Tuttavia, l’auspicio generale, da tutti condivisibile e condiviso – persino dalla Russia che ora apre alla cacciata di Gheddafi – ha la necessità di essere declinato in obiettivi più specifici, con l’individuazione di mezzi idonei. Gli Stati Uniti e l’Europa non facevano mancare supporto economico, finanziario e militare nemmeno ai rais che hanno poi repentinamente scaricato sull’onda delle proteste di piazza. Mubarak reggeva il suo potere in Egitto su un forte esercito mantenuto da Washington, Ben Ali non creava problemi all’establishment francese, che ha continuato fino alla fine a intrattenere stretti rapporti con lui. In un quadro di minore contrapposizione con il mondo islamico inaugurato da Barack Obama, le nuove generazioni dei Paesi arabi non hanno bruciato bandiere occidentali durante le manifestazioni; hanno, anzi, salutato l’appoggio dei leader all’allontanamento dei vecchi autocrati. Lo stesso intervento militare in Libia, di cui ieri è stato purtroppo formalizzato un salto di intensità con il dispiegamento degli elicotteri da combattimento, aprirà, dopo l’ormai probabile caduta del Colonnello, uno scenario più che mai da “riempire”.Non è solo la natura a rifiutare il “vuoto”, anche la politica finisce con l’occupare gli spazi che si aprono all’improvviso. Non sarà al–Qaeda, sempre più debole dopo l’uscita di scena di Benladen, a prendere il comando a Tripoli, eppure la transizione libica del post–rais sarà estremamente complicata. Per questo servono idee chiare e forti, idee “rivoluzionarie” sul destino di pace dell’area mediterranea, per tentare di accompagnare e indirizzare la fase turbolenta che vive il grande Medio Oriente. Non bastano crediti bancari e promesse di qualche finanziamento per far mettere salde radici a sistemi di libertà e frenare l’esodo dei giovani in cerca di futuro. Se in precedenza, per tenere a bada la minaccia del fondamentalismo islamico, si accettavano e si appoggiavano come male minore regimi alla bisogna brutali e spietati, oggi non si può pensare che quella sfida sia completamente dissolta. Né che dai prossimi passaggi elettorali si trovi confermata la svolta che nelle piazze ha acquisito visibilità e forza mediatica, ma non necessariamente consenso diffuso. Diventa allora sensato progettare strumenti soft di indirizzo, come appunto piani di sviluppo, che siano subordinati ad alcuni criteri minimi da esibire sulla via delle riforme politiche e sociali. Non “ricatti” espliciti, più controproducenti che utili, bensì ragionevoli “paletti” cui legare l’entità degli sforzi che l’Occidente è disposto a profondere, con efficacia e subito, a favore delle democrazie emergenti. E uno dei criteri più credibili in questo ambito è quello della tutela delle minoranze, dei gruppi più deboli e meno rappresentati. Una cartina di tornasole potrebbero essere allora la progressiva parificazione dei diritti delle donne, la piena cittadinanza per i gruppi religiosi discriminati o perseguitati – come accade non infrequentemente ai cristiani –, la tutela di persone portatrici di idee o stili di vita diversi. L’imprevedibilità e l’ingovernabilità di movimenti e tendenze storiche sono state dimostrate ampiamente proprio dalle vicende del Maghreb. Ciò non esclude affatto che l’Occidente – forte di una propria autorevolezza sul fronte dei diritti umani sanciti dalla Carta dell’Onu – debba impegnarsi, come ha sottolineato il presidente americano mercoledì a Londra, a favorire la loro diffusione con mezzi di persuasione adeguati alle circostanze. E, per quanto riguarda il Medio Oriente, con una nuova e più convincente coerenza rispetto al passato.