IL DIRETTORE RISPONDE. La prima intervista di un Papa
la prima intervista di un Papa a un giornalista non fu rilasciata, come è stato detto e scritto, da Paolo VI, bensì da Giovanni XXIII a Indro Montanelli per il 'Corriere della Sera', auspice monsignor Loris Capovilla, segretario del Papa. Tra l’altro la scelta di invitare Montanelli, un non credente, causò una inopportuna umiliazione per il vaticanista del 'Corriere', Silvio Negro, il quale era uomo di grande fede e aveva da tanti anni lavorato per dare una immagine corretta e positiva della Chiesa e degli ecclesiastici su organi di stampa 'non cattolici': un professionista che meriterebbe di essere ricordato, come giornalista e come uomo.
Luca Pignataro, Roma«Il più grande vaticanista di tutti i tempi», una vera e propria «autorità in campo internazionale». Così, gentile dottor Pignataro, proprio Indro Montanelli, che gli fu molto amico, definiva Silvio Negro. E il principe dei cronisti, in un colloquio dell’estate 2000 con Giovanni Cubeddu per '30Giorni', rievocò gioia e imbarazzo per quella intervista a Giovanni XXIII, la prima della storia a un Papa. Un colpo giornalistico assoluto, incredibilmente sottovalutato dal 'Corriere della Sera' (che la mise in pagina il 29 marzo 1959) forse proprio perché il direttore dell’epoca, il grande Mario Missiroli, «temeva di offendere Negro». Questi in effetti non fu affatto felice di venire scavalcato dall’amico Indro, ma non lo frenò affatto. E io sono certo che se il direttore fosse stato lui, avrebbe certamente pubblicato in prima pagina e non 'solo' in terza pagina quello straordinario testo. Quanto alle qualità umane e morali di Silvio Negro, mi limito a ricordare un episodio degli anni Quaranta del secolo scorso che lo accomuna ad altri grandi giornalisti cattolici, a cominciare dal beato Odoardo Focherini: amava il suo e nostro mestiere perché amava la libertà e la dignità del giornalista, e pur di non chinare la testa e scendere a compromessi con l’oscuro potere nazifascista, pur di non essere costretto a collaborare con la mussoliniana Repubblica di Salò, nel 1943 decise di rinunciare al 'suo' giornale. Al 'Corriere', però, dopo la fine della guerra, tornò a fronte alta e con ruoli impegnativi e prestigiosi, lasciando anche – come lei, gentile amico, sottolinea – un segno profondo e rinnovatore nel modo di fare cronaca della parola e della vita della Chiesa.