No, questa volta non hanno vinto tutti. La presunzione fa (e farà) male
Chiuse le urne, stavolta la certezza è che non tutti possono dire di aver vinto. Il centrosinistra (allargato) ne esce meglio. Eppure le prime elezioni post-pandemia, segnate da un’affluenza mai così bassa (in molte città ha votato meno di un elettore su 2), consegnano un esito a molte facce, ma segnato da alcuni netti tratti distintivi: una sconfitta dei radicalismi con la débâcle superiore alle previsioni del centrodestra trasformato in destracentro, un ridimensionamento brusco dei 5stelle come polo autonomo e alternativo, la ripresa del Pd come partito al centro di un sistema di alleanze e di conseguenza, sul piano generale, il ritorno verso uno schema più bipolare accentuato dal sistema elettorale per i Comuni.
Il dato che emerge e colpisce con più forza è la batosta subita per ora dall’attuale destracentro, niente affatto galvanizzato e anzi zavorrato sin da inizio corsa dall’aperta lotta per la primazìa tra Salvini e Meloni e dalla debolezza oggettiva di alcuni candidati sindaco, scelti in ritardo e con supponenza – non per nulla Berlusconi ha aperto prima delle urne una vertenza con gli alleati anche sulla "classe dirigente". Ma disorientato pure da un paio di serie vicende giudiziario-mediatiche – il caso del guru salviniano Morisi e quello della lobby due volte "nera", per i fondi e i saluti romani, di Fdi – esplose a ridosso del voto. Ne esce male, pur con accenni di autocritica, Matteo Salvini che, con le sue incertezze sulla linea, non capitalizza il sostegno dato a Draghi. Anche Fdi, che tuttavia spera ancora nella vittoria a Roma con Michetti, deve leccarsi le ferite avendo fallito l’obiettivo di ribaltare i rapporti di forza con la Lega mettendo a frutto il monopolio sulla opposizione al governo. Sorride un po’ Forza Italia che, grazie al trionfo del suo Occhiuto alla regione Calabria e ai passi falsi degli alleati, può provare a rialzare testa e voce.
Il Pd canta vittoria, e raccoglie importanti successi. Che potrebbero far illudere di avere risolto i propri problemi. Ma la prova che il destracentro è battibile non è di quelle che possano indurre Enrico Letta a cullarsi sugli allori amministrativi (e nelle due elezioni suppletive, grazie alle quali torna in Parlamento da deputato di Siena). I dem sono attesi alla costruzione di una proposta politica "forte" e pienamente "inclusiva" che ancora si fatica a scorgere: essere sinistra senza perdere il centro, dando un assetto convincente all’alleanza con i 5 stelle.
I quali, a loro volta, marcano l’altro risultato più evidente di questa consultazione. In cinque anni (dei quali ben tre passati al governo) i pentastellati sono stati capaci di dilapidare un patrimonio: da oltre il 30% dei consensi a troppi risultati a una sola cifra.
Dopo aver fallito la prova da forza politica autonoma 'di lotta e di governo', il Movimento è chiamato a una scelta strategica: 'ricostruirsi' nella nuova dimensione di alleato-competitore del Pd (via indicata dagli esiti soprattutto di Napoli e Bologna, progetti basati su candidati credibili e alleanze strutturate) oppure tornare alle origini.
Per le 'terze forze', infine, il campo sembra restringersi, nonostante la buona prestazione nella capitale della lista di Carlo Calenda (appoggiata anche dai renziani). Ma potrebbe essere un’altra illusione ottica. L’attuale sistema d’impronta proporzionale per il Parlamento e la sua prossima evoluzione dopo il taglio dei parlamentari annuncia uno spazio possibile (e necessario) per forze intermedie di qualità.
Sullo sfondo resta il governo di Mario Draghi. La cui sola esistenza, con il solido ri-centraggio delle politiche italiane, ha tramutato queste urne in una sorta di stress-test per tutti i partiti. Ora verranno le montagne russe dei ballottaggi, dietro le quali già si intravede il tunnel della 'partita-Quirinale'. Servono nervi saldi e concretezza. Come ha sentenziato questo primo turno chi presumerà delle proprie forze si farà male e fa male. E nessuno può permettersi di farne all’Italia della ripresa, che è in atto e da irrobustire.