Ue e Ucraina. Una mano tesa verso Est che ridà forza morale all'Europa
Facile dire una “decisione storica”. Ma quella presa giovedì 14 dicembre 2023 a Bruxelles dal Consiglio Ue di avviare i negoziati di adesione con l’Ucraina e la Moldavia è certamente una scelta che avrà implicazioni molto importanti a breve e a lungo termine. «Una vittoria per Kiev e l’Europa», l’ha definita il presidente Volodymyr Zelensky, che vede avvicinarsi i destini del suo Paese, da 20 mesi sotto l’attacco della Russia, a quelli dell’intera Unione.
Non è stato facile per i 26 leader evitare il veto del premier ungherese Viktor Orbán, che ha lasciato l’aula del vertice per non mettere la sua ideale firma al via libera che non condivide – e ha criticato – ma ha finito con l’accettare in cambio dello sblocco di 10 miliardi di fondi comunitari. Il cammino verso l’ingresso (non ancora scontato) dell’Ucraina passa dal cedimento a un mezzo ricatto di Budapest, che ottiene i soldi senza avere fatto gli adeguamenti chiesti per ripristinare lo “Stato di diritto” secondo i parametri Ue. Ma il momento è eccezionale e anche Kiev, favorita con una procedura speciale accelerata, non è certo una democrazia trasparente.
Diventata Paese candidato in giugno, dopo nemmeno sei mesi entra nel processo che potrebbe portarla a diventare membro a tutti gli effetti. Una nazione di oltre 40 milioni di abitanti, con una superficie doppia rispetto all’Italia (seppure attualmente mutilata di quasi il 20% del suo territorio occupato da Mosca) e un Pil molto basso in tempi normali avrebbe minacciato di terremotare gli assetti già precari dell’Unione. Se si considera che oggi è un Paese in guerra con la Russia di Putin, si deve riconoscere che l’Europa ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e si è assunta un compito che definire gravoso è davvero un eufemismo. Ma è una mossa in linea con lo spirito e i valori originari che ispirarono – e dovrebbero continuare a guidare – l’integrazione del Vecchio Continente. Solidarietà con il popolo aggredito e anche una possibile via politica per giungere a una fine del conflitto che tenga conto della giustizia e del diritto internazionale.
Si sa che a parole il Cremlino non è ostile all’ingresso di Kiev nella Ue. La preoccupazione di Mosca è indirizzata, come è noto, alla Nato. Registrata, quindi, la soddisfazione per un passaggio che apre un percorso ma non ne predetermina l’esito, bisogna anche essere realisti e cercare vie praticabili. Si tratta di fatto d’agire su due tavoli. Uno è quello tradizionale, comunque non facile, per fare sì che su tutti i dossier l’Ucraina si allinei agli standard e alle regole dell’Unione. Lo sforzo sarà complicato dalla situazione bellica – che si spera possa concludersi – e poi dalla ricostruzione, che implica sia la riedificazione materiale sia quella sociale, con il tema dei milioni di profughi all’estero (e in maggioranza in altre nazioni comunitarie). L’altro tavolo parallelo è quello della guerra che probabilmente non finirà a breve – come lo stesso Putin, nella sua trionfale conferenza stampa di fine anno, ha ribadito ieri –, ma che può trovare ora uno strumento diplomatico in più, grazie all’avvicinamento formale tra Kiev e Bruxelles, per l’unico obiettivo che è una pace giusta.
I Paesi europei avranno un impegno anche maggiore nel sostegno alla resistenza davanti all’aggressione. Dovranno però da subito immaginare un futuro di pace condiviso, per non entrare ancora di più, quasi formalmente, nel conflitto che si sta svolgendo alle sue frontiere. Una Ucraina mutilata e sotto la minaccia di altre azioni belliche sarebbe anche una Ue mutilata e sotto la minaccia di altre azioni belliche. Ci vorrà molto impegno politico – ma prima ancora economico, per non fare dissanguare il candidato durante le trattative – per giungere a un’Europa più larga e capace di dare sicurezza a tutti i suoi membri, comprese la piccola Moldova e la Georgia, cui è stato concesso lo status di candidato. Oggi la mano tesa verso Est è un gesto che ridà forza morale al Continente. Il prossimo futuro ci darà la misura della sua capacità di tenere fede alla promessa nella sfida forse più difficile della sua storia. Ne va dell’onore e della libertà di tutti.