Opinioni

«Io seguo la Chiesa» /7. La porta stretta del «costruttore di ponti»

Stefania Falasca domenica 10 settembre 2023

Papa Francesco con un gruppo di bambini ucraini durante una udienza generale in Vaticano. Sono innumerevoli gli interventi del Papa sui conflitti che insanguinano il pianeta, e in particolare sulla guerra in Ucraina

Con la serie «Io seguo la Chiesa» Avvenire sta proponendo a cadenza settimanale, ogni domenica, un viaggio attraverso il magistero di papa Francesco e la sua missione. Le analisi della vaticanista Stefania Falasca si concentrano sulle linee maestre del Concilio Vaticano II che sono state seguite e portate avanti da papa Francesco nel solco della Tradizione. QUI tutte le puntate uscite.

«Edificare la pace, costruire ponti». Così dichiarava papa Francesco in merito alla sua missione di Pontefice nel primo discorso rivolto al Corpo diplomatico, il 22 marzo 2013. Fin da quando è stato eletto Papa, spiegando la scelta del nome assunto – come aveva riferito ai giornalisti nell’Aula Paolo VI –, papa Francesco ha detto di aver scelto il nome del Santo di Assisi perché era l’uomo della povertà e della pace. E di Francesco d’Assisi evidenziava le cifre essenziali della figura nella storia della Chiesa: quella dell’uomo capace di disarmarsi e disarmare per annunciare la pace di Cristo rifiutando qualsiasi tipo di arma, e quella dell’uomo dell’incontro e del dialogo con l’altro, testimoniando così anche all’interno stesso della Chiesa la via evangelica rispetto a quella che, anche nel XIII secolo, era considerata la cosa più giusta da onorare: l’ostilità per il nemico.

Già con la scelta del nome papa Francesco aveva dunque prospettato gli archi che avrebbe proiettato e percorso come instancabile costruttore di ponti, svelando la missione alla quale Dio lo ha chiamato oggi ad agire con realismo e lungimiranza in questi tempi convulsi, lacerati e ottenebrati da quella che con lucidità lui stesso ha definito «terza guerra mondiale a pezzi», per edificare l’unica famiglia umana facendosi anzitutto ponte come Cristo, Principe della pace. Perché è questo il servizio inscritto nel dna del ministero petrino per cercare soluzioni alle crisi. E se sul modello stesso del Principe della pace i ponti sono la via per la pace, come costruttore di ponti con il suo magistero papa Francesco ha infranto lo schema che ha identificato troppo a lungo il cattolicesimo con l’Occidente e, nel tempo delle armi nucleari, stracciato per sempre l’idea mistificatoria del ricorso alla guerra giusta, voltando definitivamente pagina anche alla guerra fredda tenuta in piedi sulle macerie belliche per decenni. Proprio a Oriente, nel suo viaggio apostolico in Kazakistan nel settembre dello scorso anno in occasione del settimo Congresso dei leader delle religioni mondiali – avendo ben chiaro sulla base della dottrina sociale e della strada maestra del Concilio Vaticano II che «la via del dialogo interreligioso, servizio urgente e insostituibile per l’umanità, è una via comune di pace e per la pace, e come tale è necessaria e senza ritorno» –, Francesco ha pronunciato un’affermazione che vuole segnare il crinale di un’altra epoca dopo l’attentato alle Torri Gemelle del 2011: «Solo servendo la pace si resta nella storia».

Perfettamente identificato e coerente con il nome scelto per il suo ministero petrino, in questi dieci anni di pontificato Francesco ha dunque servito la pace. Anzitutto coniugando e portando avanti l’opera di san Giovanni XXIII con la Pacem in terris e di san Paolo VI, che per primo ha istituito le Giornate mondiali per la pace e primo ad affermare, con la Populorum progressio, che «lo sviluppo è il nuovo nome della pace». Con l’enciclica di papa Roncalli, ha infatti affermato: « Non rassegniamoci alla guerra, coltiviamo semi di riconciliazione. I popoli desiderano la pace. È quanto cercheremo di continuare a fare, sempre meglio, giorno per giorno, e oggi eleviamo al cielo il grido della pace, ancora con le parole di san Giovanni XXIII: “Si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace”». Con papa Montini ha poi affermato che «se si vuole un autentico sviluppo umano integrale per tutti occorre proseguire senza stancarsi nell’impegno di evitare la guerra tra le nazioni e tra i popoli», poiché «come cristiani restiamo profondamente convinti che lo scopo ultimo, il più degno della persona e della comunità umana, è l’abolizione della guerra». E da qui il peculiare contributo che, andando avanti in questa prospettiva, papa Francesco sta compiendo sul crinale di un’epoca.

Per il Papa della «pace attiva» che ha abbracciato tout court la «nonviolenza» quale stile di una politica per la pace, con continui gesti, azioni e pronunciamenti eloquenti come enciclica de facto, il suo armamentario contro la guerra e il suo totale e radicale ripudio è stato e continua a essere un solido e lungimirante magistero, forse il più monumentale. E certamente nel nostro mondo in frantumi – libero dai legacci e dagli interessi dei poteri forti che impongono il pensiero unico – lo fa ergere quale unico leader mondiale a invocare la pace con le mani non sporche di sangue, non colpevoli di aver contribuito a fornire strumenti di morte in nome di un disarmo mai praticato. Unica voce in un mondo senza riferimenti autorevoli e credibili, che coraggiosamente e senza infingimenti è capace di dire lucidamente la verità a fronte delle sporche guerre in atto: «Un’umanità che ha smarrito l’umanità ha smarrito la via della pace, ha dimenticato la lezione delle tragedie del secolo scorso, il sacrificio di milioni di caduti nelle guerre mondiali, ha disatteso gli impegni presi come Comunità delle Nazioni, si è rinchiusa in interessi nazionalisti e ha scelto di sopprimere vite e accumulare armi». L’azione di papa Francesco per la pace si articola dunque sulla stigmatizzazione dell’assurdità della guerra e sulla necessità della fraternità, che può essere sintetizzata in tre punti.

1 Con il ripudio radicale della guerra e dell’indifferenza a essa: « A essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: “A me che importa?”... Sopra l’ingresso di questo cimitero aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”... Davanti a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!». Era il 13 settembre 2014 e papa Francesco attraversava la «follia» del Sacrario militare di Redipuglia, e oggi continua ad attraversare «la crudele e insensata guerra che rappresenta una sconfitta per tutti noi» con un vocabolario sulla guerra assai netto: « È follia», «è calamità», «ogni guerra è un incubo», «una sconfitta per tutti», un atto «crudele», «macabro », «insensato», «barbaro», «bestiale», «diabolico», «ripugnante», «sacrilego», contrario cioè alla «sacralità della vita umana, soprattutto la vita umana indifesa». « È pazzia», come ha ripetuto più volte nelle centinaia di interventi da quando è iniziato il conflitto in Ucraina: «Siano russi, siano ucraini... Penso a tanta crudeltà, a tanti innocenti che stanno pagando la pazzia, la pazzia, la pazzia di tutte le parti, perché la guerra è una pazzia. E nessuno che è in guerra può dire: “No, io non sono pazzo”».

2 Con la condanna senza appello dei “mercanti di morte”: « La guerra è tra la vita del mondo e quelli che vogliono accelerare la sua fine, senza trascurare i fatturati da incrementare col traffico d’armi». Francesco non fa sconti a nessuno, e smascherando la bramosia dello smercio degli arsenali bellici dice con coraggio che in questi traffici si trovano le motivazioni profonde che stanno dietro e alimentano le guerre: « La guerra gonfia le tasche: “Facciamo armi, così l’economia si bilancia”...».

3 Con la «pace attiva», la pratica della «nonviolenza» e il dialogo interreligioso, via per la pace. Nel magistero di Francesco per la prima volta «nonviolenza» diventa parola unica, sintesi di una pratica «attiva e creativa», stile di vita e «programma politico» efficace per la pace, nella quale si giocano anche i rapporti internazionali e un impegno che non è patrimonio esclusivo della Chiesa cattolica ma è proprio di molte tradizioni religiose con le quali lavorare per la pace. «Quella costruita sulle macerie non sarà mai una vera vittoria » ha affermato lo scorso febbraio a un anno dall’inizio del conflitto che insanguina l’Europa. Il Papa si impegna dunque incessantemente perché si mettano in atto vere e concrete trattative per un cessate il fuoco, e per una soluzione sostenibile cerca interlocutori da Oriente a Occidente.

Se dunque la guerra non è mai dalla parte dell’uomo, non guarda alla vita concreta delle persone, ma mette davanti a tutto interessi di parte e di potere, affondandoci nella «logica diabolica e perversa delle armi, che è la più lontana dalla volontà di Dio», Francesco si muove così nel solco della grande Tradizione dell’insegnamento sociale della Chiesa, sviluppato in modo particolare negli ultimi due secoli, e che risale nel suo nucleo al Vangelo.

Lo sguardo del Papa si muove pertanto sempre dentro i grandi orizzonti della storia e dei valori di fraternità che formano le basi della dottrina sociale cristiana e hanno di conseguenza valore politico nella sua accezione più alta. Quanto insegna da pastore è una visione che incoraggia al bene e a impegnarsi per la pace a partire dalla convinzione che il bene proprio si realizza nel modo migliore e duraturo dentro il bene comune, nel servire gli altri, specialmente se deboli e poveri, contrastando l’egoismo e la sete spasmodica del denaro, mostrando al mondo che una via di scampo è possibile – e obbligata – per uscire dalla spirale dell’auto-annientamento messa in atto dalle agenzie finanziarie del terrore. Lacerata da «conflitti insensati», Francesco riconsegna così al mondo la magna charta della pace, che non è solo sintesi del suo magistero e degli orientamenti perseguiti costantemente dall’impegno e dall’azione diplomatica della Santa Sede sul tavoliere internazionale: è lo stile no-profit per lo sviluppo dell’umanità e il bene comune, razionale e perseguibile della nonviolenza, che è basato sul primato del diritto e della dignità di ogni persona.