Cinema & bioetica. "La petite": in un film tutte le domande inespresse sulla Gpa
«La bambina, la petite, la deve restituire, è il suo lavoro». È lo sguardo innocente di una ragazzina di 9 anni a restituire per intero lo sconvolgimento delle relazioni umane provocato dalla Gestazione per altri (Gpa). La ragazzina è la prima figlia di una giovane belga, Rita, che per risolvere le sue emergenze economiche sigla un accordo per far nascere un figlio, concepito con gli ovuli di una donatrice e il seme di uno dei due partner di una coppia gay francese. Ma accade l’impensabile: i due committenti scompaiono in un disastro aereo ed è il padre di uno dei due, Joseph, a mettersi sulle tracce della madre surrogata e della bambina, in una sorta di elaborazione personale del lutto.
“La Petite” è un film delicato, realistico, firmato da Guillaume Nicloux e interpretato tra gli altri da un magistrale Fabrice Luchini, con la colonna sonora del nostro Ludovico Einaudi. È senz’altro un film che non vuole dare giudizi morali sulla Gpa, ma che solleva inevitabili domande e abbozza anche qualche risposta. La madre surrogata, innanzitutto: Rita ha una vita sbandata, della bambina in pancia non si cura, fuma e balla e beve, contravvenendo alle precauzione richieste da una gravidanza in corso. «Sono solo un mulo, non sono sua madre», proclama a un attonito Joseph, che ha attraversato la Francia, per rintracciarla a Gand (Belgio) e infine conoscerla. Ma tutto cambia quando, dopo il parto, Rita chiede di vedere “la petite”.
Uno sguardo quasi riluttante, però sufficiente per capire che dopo averla portata in grembo per nove mesi non si esaurisce tutto con il pagamento del prezzo pattuito… La scena finale del film, uscito nelle sale italiane il 18 gennaio scorso, che ovviamente non spoileriamo, conferma questa intuizione.
In Francia, dove la Gpa è proibita per legge, il film non ha destato particolari discussioni. Lo stesso Luchini, big assoluto del cinema francese, interpellato sull’utero in affitto, ha risposto: “Non so”. Ma il personaggio che interpreta nel film, un padre vedovo, restauratore di mobili antichi in rotta di collisione con il figlio gay è un uomo che a differenza dei “consuoceri” del tutto ostili alla Gpa perché «contro natura», mette al centro dei suoi pensieri “la petite”, vende i suoi beni per onorare il contratto con la madre surrogata e impedirle di dare in adozione la bambina.
È lui che senza giudicare, ma solo esprimendo i suoi stati d’animo in modo sincero, svela il grande turbamento indotto dalla maternità surrogata. Di chi è “la petite” (che si chiamerà Pauline in onore del figlio morto, Paul)? Chi è la madre? Chi il padre? Accanto a lui, la logica innocente e acuta della prima figlia di Rita: «Ma se siamo state nella stessa pancia, siamo sorelle? E mi assomiglierà?». L’utero in affitto è anche questo: domande senza risposta. O meglio, con qualche risposta scomoda.
Tra le altre cose, in Belgio è ammessa solo la Gpa solidale, e infatti il compenso promesso dai committenti alla giovane Rita, 60mila euro, è offerto sottobanco, a dimostrazione che la Gpa solidale è una mera finzione, inesistente nella realtà. Tornando al film, Joseph rimane solo, in questa ricerca di senso, solo con la neonata e con la seconda possibilità che gli imprevedibili tornanti della vita gli offre, a costo di sacrifici, tenacia, resistenza. Tutt’intorno, indifferenza. L’utero in affitto è anche questo: domande senza risposta. O meglio, con qualche risposta scomoda.