Opinioni

Il Papa che cammina a Roma. La paura di don Abbondio e il suo antidoto, qui e ora

Ugo Amati martedì 17 marzo 2020

Caro direttore

forse un algoritmo che metta in fila in un’equazione Boccaccio, Camus, Tucidide, Lucrezio e Manzoni ci darebbe, se non l’esatta misura, la curva dove meglio posizionarsi di fronte a una tragedia di questa portata. Gli algoritmi prevedono gli impatti del coronavirus sui mercati finanziari. Mancano gli algoritmi umanitari, non meno importanti.

Se si mettessero insieme la “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni, che denuncia l’idiozia delle autorità e l’irrazionalità delle folle, il morbo di Albert Camus come allegoria del male e della guerra pronto a riemergere, il decadimento dei valori morali e dei costumi così ben raccontati da Lucrezio Caro e Tucidide, la descrizione lucida e distaccata di Giovanni Boccaccio, che affida l’orrore e il giudizio alle cose stesse, avremmo alla fine una sintesi alla quale affidarci per non perdere il senno. Perché di questo si tratta: ora la popolazione sembra capire e ha comportamenti adeguati, ma sotto traccia si avverte, se la tragedia dovesse prolungarsi, che il panico potrebbe avere il sopravvento.

Comunque sia e comunque vada a finire, l’immagine di papa Francesco in cammino lungo una linea incerta verso la chiesa di San Marcello, dove mi capitava di entrare per una preghiera trattenuta, avendo io lo studio per qualche anno in via Frattina, mi ha fatto un’enorme impressione. E il vescovo di Milano in preghiera sul tetto del Duomo era eretto ed asciutto, lo sguardo verso la Madonnina. Ma il Papa per strada, così pesante e affaticato... Lo ammetto non ho grande simpatia per lui, sentivo invece qualcosa di molto forte quando mi capitava poco prima di mezzanotte di passare davanti a San Pietro e di vedere in alto la luce ancora accesa della stanza dove immaginavo papa Benedetto XVI. Ma devo dire che l’incedere smarrito di papa Francesco, che si pone quasi maldestramente come l’anticorpo della paura di don Abbondio, mi ha commosso. L’antigene è la mancanza di coraggio, l’anticorpo è la sfida. Ma così come non esiste ancora un vaccino che ci dia speranza, allo stesso modo sembra vacillare la fede. C’è solo la volontà di non perderla, non la sicurezza di averla e di serbarla dentro. Oggi l’amico Tonino Guerra avrebbe compiuto 100 anni. A chi gli chiedeva se credeva in Dio rispondeva: «Credere in Dio potrebbe essere una bugia, non credere potrebbe essere una bugia ancora più grande».