L'editoriale. La patria della vita
I quattro che descrivono il suo passaggio sostengono che, morto, si sia rialzato dalla morte. È questo indubbiamente il punto di rottura in quella suggestiva storia d’Oriente. O ci si separa da lui su questo punto, e si fa di lui un sapiente come ce ne sono stati tanti altri, ma uno del passato, oppure lo si segue come uno che è vivo, che cammina alla testa di una immensa migrazione di uomini verso la vita, davanti a ricevere in faccia il vento, la morte, l’ingiuria, senza mai rallentare il passo.
I vangeli di Pasqua iniziano raccontando ciò che è accaduto alle donne in quell’alba piena di sorprese e di corse. La tomba, che avevano visto chiudere, è aperta e vuota. Lui non c’è. Manca il corpo del giustiziato. Ma questa assenza non basta a far credere.
È necessario un angelo a rimettere in moto il racconto: Non abbiate paura, non è qui (Mt 28,6). Che bello questo: non è qui! Perché Gesù va cercato fuori, altrove, è in giro per le strade, è il vivente. Il nostro è un Dio da cogliere nella vita. È dovunque, eccetto che fra le cose morte. È dentro i sogni di bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, è dentro l’atto di generare, nei gesti di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell’ultimo respiro del morente.
Vi precede in Galilea (Mt 28,7), là dove tutto era cominciato. Per dire: ogni strada del mondo è Galilea, e lui vi precede su ogni strada, con lui vivrete solo inizi. È il primo della lunga carovana dell’umanità incamminata verso la vita. Cercatelo con occhi attenti, occhi di Pasqua.
I pittori delle icone sono andati a cercarlo nel profondo delle cose. Rappresentano Gesù che abbatte e calpesta le porte della morte, che afferra Adamo per il polso, là dove si sente pulsare la vita e battere il cuore, ed Eva accorre, vestita tutta di rosso, vestita del sangue, del cuore, dell’amore, della carne dei suoi figli. Gesù afferra i primi per prenderci tutti dentro il suo risorgere. E la sua risurrezione non riposerà finché non abbia raggiunto l’ultimo ramo della creazione, non abbia rovesciato la pietra dell’ultima anima (Balthasar).
Gesù scende ancora nei sotterranei della storia, presso i dannati della terra, perché la terra ha i suoi dannati, nel fondo oscuro della storia e della materia, per darle energia ascensionale verso più luminosa vita. È disceso nel fondo del mio essere, nell’oscurità del cuore, nelle mie zone di durezza, di violenza e di sterilità, nelle profondità della materia e della persona, nella vittima e anche nel carnefice e ora è presente come forza di gravità celeste, come forza di attrazione verso l’alto, a mostrare che il carnefice non avrà ragione della sua vittima in eterno, che chi vive una vita come la sua ha in dono una vita indistruttibile.
Pietro (1 Pt 3,18) definisce lo Spirito della risurrezione come «facitore di vita» (zoopoieteis). Ed è uno dei sensi più profondi, più belli e attuali della Pasqua: Cristo a Pasqua è «facitore di vita» per chi lo accoglie, per chi lo segue, per chi lo attende. Fare la vita, sua e nostra vocazione; produrre vita perché la vita non è un fatto, è un farsi continuo, un crescere, una dilatazione, un accrescimento inesausto di tre cose: libertà, coraggio e amore. Non esiste libertà senza coraggio, amore non c’è senza libertà. E queste tre cose, amore libertà e coraggio, sono la patria della vita autentica, sono quell’altrove, il “non qui” indicato dall’angelo a ogni mai arreso cercatore di Dio.