Opinioni

Dopo il Sinodo /8. La Parola si apre la strada anche nella generazione social

Alessandra Smerilli e Sergio Massironi mercoledì 3 luglio 2019

(Siciliani)

Un piccolo suono nella notte. È il segnale di una fedeltà inizialmente non messa in conto. La proposta venne lanciata al termine di una vacanza estiva: inviarsi una frase, o anche solo una parola tratta dal Salmo di compieta, preghiera condivisa per diversi giorni prima del sonno. Legarsi così, grazie ad 'altro' rispetto al linguaggio comune, ci siamo accorti che piace e funziona. Non è per dovere che i giovani aprano la Bibbia, specie in un cattolicesimo che raramente ne ha proposto la frequentazione personale. L’amicizia e un’app possono fare la differenza: il nostro smartphone è tanto lontano dai codici miniati, quanto capace di dare accesso alla medesima esperienza di comunità in preghiera. Quando ce n’è modo, ci si raduna fisicamente. Altrimenti si è insieme seppur dispersi: ciascuno nella propria stanza, o in viaggio, ma col pensiero ai fratelli e il cuore in ascolto. «Scegliere fra tutte una parola – dice Valentina, 21 anni – quella che oggi pare scritta per me. Lasciarla risuonare prima nel silenzio e poi fra gli amici, pronunciandola ad alta voce o inviandola in chat: così mi sono accorta che la Bibbia parla di me, perché persino lo stesso Salmo non dice mai la stessa cosa. Lo si ritrova di mese in mese diverso, ma basta una sera per accorgersi di quanti particolari ognuno di noi ha colto. Lì dentro c’è la vita ed è come se Dio non ti facesse mai mancare la chiave giusta per quel che stai attraversando. Capita anche che io scelga una frase in cui non si tratta di me, ma forse di ciò che sta vivendo un’amica. Inviarle quella parola può fare la differenza: incide di più di tante frasi che spontaneamente avrei potuto scrivere io». È l’innesco, il giusto inizio di un nuovo modo di pregare in cui è lo Spirito a prendere e a dare la parola. Delicatamente, come nel suo stile, perché Dio è come si ritraesse: si offre in espressioni umane, segnate dal tempo, intrise di contrastanti emozioni, non sempre legate fra loro con chiarezza e coerenza.

I Salmi, prima ancora dei Vangeli, innescano tra testo e lettore un’immediata corrispondenza e rendono possibile un salto di qualità. Molti giovani hanno dentro di sé un universo inesplorato, che si dischiude solo nell’ascolto di ciò che inizialmente appare esterno, estraneo, ma poi improvvisamente familiare. «Ascolta, Israele!» (Dt 6,4): prende forma un popolo grazie al dono della Parola. Nel cuore della notte, raggiunti dal messaggio dell’ultimo amico che chiude i libri o rientra da una festa, Valentina può toccare con mano l’appartenenza non a un’ideologia ma al medesimo amore di cui vivono i fratelli. È un incontro, un’energia, un desiderare ancora: il testo che tutti pregano è voce, presenza. Anche i meno propensi a visio- ni angeliche avvertono, cammin facendo, il Mistero che li avvolge. C’è dell’altro, c’è di più. Non sono solo parole.

Si tratta di accompagnare oltre. Più in là dei Salmi stessi, ad abitare la grande storia che li ha generati. Tutti i libri della Bibbia, in questo senso, sono un invito a entrare e a sostare, al di là della singola frase, in un contesto. Un giovane arriva ai Vangeli, ad esempio, quando per la prima volta si accorge di trovarvi spazio e di riconoscersi presente a quanto narrano. Cade la sensazione di sapere già e affiora il presentimento di una rinascita. Andrea tre anni fa si trovò ad accompagnare al battesimo un giovane coetaneo di origine cinese. Una fede schietta e provata lo mostrò adatto ad aprire settimanalmente il Vangelo di Marco per introdurre l’amico a Gesù. Presto, però, i due si accorsero di poter allargare a una ventina di altri giovani, battezzati nell’infanzia, i loro incontri. Dischiudere a uno straniero il libro dei Vangeli divenne per tutti, così, una nuova scoperta di Dio: l’energia del racconto, letto nella prospettiva di chi ancora non sa, si rivelò intensa e trasformante. Peccato che la predicazione non abbia solitamente la stessa capacità di portare a Gesù, lasciando emergere la sua imponenza da testi mai logori. È il desiderio di papa Francesco, quando chiede «al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile» (Chirstus vivit, 35).

Per molti giovani non le grandi liturgie ma momenti di culto semplici e quasi domestici espongono alla voce di Dio che dalle Scritture li chiama. Certo, anche l’immensa assemblea eucaristica di una Gmg, la bellezza lancinante di un paesaggio o di una cattedrale, l’intensità di un canto, possono fare la differenza. Più spesso, però, è una domus ecclesiae, cioè la misura familiare della piccola comunità a sospingere il cammino di chi inizia a leggere la propria vita come storia di salvezza. Come si legge nel Documento finale del Sinodo sui giovani, infatti, «la Parola del Signore esige tempo per essere intesa e interpretata; la missione a cui essa chiama si svela con gradualità. I giovani sono affascinati dall’avventura della scoperta progressiva di sé. Essi imparano volentieri dalle attività che svolgono, dagli incontri e dalle relazioni, mettendosi alla prova nel quotidiano. Hanno bisogno però di essere aiutati a raccogliere in unità le diverse esperienze e a leggerle in una prospettiva di fede, vincendo il rischio della dispersione e riconoscendo i segni con cui Dio parla. Nella scoperta della vocazione non tutto è subito chiaro, perché la fede 'vede' nella misura in cui cammina, in cui entra nello spazio aperto dalla Parola di Dio» (n.77). A 19 anni Letizia, grazie a un gruppo in cui si riconosce a casa, può già distinguere la Parola risuonata per lei in momenti e luoghi precisi. Ha scelto due passi evangelici che immortalano quanto più le preme: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,13); «Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi oltraggiano» (Lc 6, 2728). E scrive: «Sono tra le pagine di più immediata comprensione che troviamo nelle nostre domeniche, eppure credo siano tra le più ricche e significative, perché nella loro semplicità vedo il cuore di quello che vuol dire essere cristiani e vivere da cristiani a tutti gli effetti. Per questo sono forse tra le più difficili da mettere in pratica. Mi hanno colpita fin da piccola, le ho sperimentate sulla mia pelle: spero di riuscire a esserne all’altezza ogni giorno. Sì, perché quando penso al significato di una 'regola di vita' penso a impegno, obiettivo, promessa, responsabilità di guardare indietro al passato e avanti verso il mio futuro, scegliendo chi diventare e quali esempi di vita seguire. Ecco la mia scelta: AMARE. Parola chiave che vorrei diventasse parola d’ordine».

Il Sinodo ha fortemente sottolineato come intuizioni di tale intensità possano emergere dove si coltivi un vero equilibrio tra singolo e comunità. «Nei testi biblici si impiega il termine 'cuore' per indicare il punto centrale dell’interiorità della persona, dove l’ascolto della Parola che Dio costantemente le rivolge diviene criterio di valutazione della vita e delle scelte. La Bibbia considera la dimensione personale, ma allo stesso tempo sottolinea quella comunitaria. Anche il 'cuore nuovo' promesso dai profeti non è un dono individuale, ma riguarda tutto Israele, nella cui tradizione e storia salvifica il credente è inserito. I Vangeli proseguono sulla stessa linea» ( Documento finale, n.106). Aprirli, abitarli, rileggerli con i giovani può rinnovare la Chiesa. Può dar corpo a una freschezza inedita e contagiosa. Sempre, infatti, lo Spirito ha da offrire un cuore di carne a chi non teme che quello di pietra finisca infranto.