Cattolici e politica. La parola chiara della Chiesa e il tempo di uomini responsabili
Gentile direttore, quello che sta accadendo è grave, ma è probabile che quello che succederà tra qualche mese, diciamo entro le elezioni europee, lo sia molto di più. L’indignazione di Roberto Saviano e quella espressa da 'Famiglia Cristiana' fin dalla sua copertina possono non essere condivise, ma sono più che comprensibili. Le ampie e documentate campagne informative che 'Avvenire' sta sviluppando in questi anni ne sono una conferma. Avere un Ministro dell’Interno che, di fronte a un’umanità disperata, dice «è finita la pacchia» e chiude i porti riesce a farci dimenticare il modo in cui per anni l’Italia ha amministrato, o non amministrato, il problema-immigrati, soprattutto (ma non solo) nel Sud. Eppure la violazione del diritto alla vita è un’altra cosa. Sono in tanti ad accorgersi – e il dibattito sulla politica e i cattolici che si va sviluppando su queste pagine lo testimonia – che, oggi, la Chiesa Cattolica costituisce l’unica autentica forza d’opposizione a un processo di proporzioni planetarie, di cui Salvini e Di Maio, con ruoli diversi, sono solo alcuni degli attori sul palcoscenico.
Non ne faccio una questione di destra o di sinistra. Viviamo ancora in democrazia, che vuol dire separazione dei poteri, ma anche libertà di pensiero, di informazione e di educazione, oltre a Forze armate non direttamente controllate dal potere politico. Ma entro le prossime elezioni europee questo processo potrebbe rivelare per intero il volto odioso che, per adesso, nasconde. Per il Potere, l’Uomo è sempre stato una variabile dipendente, un effetto collaterale, non più di questo. Nei giochi di potere i conti non si sono quasi mai fatti tenendo presente l’Uomo. Perciò santi, poeti, artisti hanno sempre combattuto in suo favore, l’hanno ospitato e curato, raccontato la sua vita, dipinto il suo volto. Il guaio sta nel fatto che, in questo preciso momento, non siamo in grado di dare a questo problema una risposta politica. Quello che potrebbe succedere di qui a pochi mesi è così difficile da accettare (ma facile da immaginare) che il poco tempo per riflettere e agire va usato bene. Il mondo, l’Europa e l’Italia si sono trasformati in un immenso campo di battaglia di interessi di cui probabilmente soltanto una parte è visibile, e dove, data l’ambiguità dominante anche nel linguaggio politico internazionale, tramare nell'ombra appare più facile rispetto a un tempo.
Dobbiamo muoverci da subito, perché tutti sappiamo che, da un certo momento in poi – è una delle odiose lezioni che la Storia ci dà – ciò che era inaccettabile diventa accettabile. A meno che un grande ideale muova tutta la nostra vita, alla fine perfino nella disgrazia si cerca un piccolo vantaggio, anche a costo di lasciarsi dietro il cadavere di qualcuna delle proprie idee. Perciò il primo dovere non è soltanto quello, sacrosanto, di 'far sentire la nostra voce', ma anche quello di stare fino in fondo al nostro posto. Un poeta parla al mondo non soltanto perché denuncia i soprusi, ma perché, se deve parlare di fiori e di capelli biondi, lo fa anche al cospetto del boia.
Vorrei esporle ora, direttore, due preoccupazioni. La prima riguarda la possibilità, in Italia, di un’opposizione seria. Abbiamo un governo che rischia di ottenere un numero sempre più alto di consensi anche nel caso che fallisca la maggior parte dei suoi obiettivi dichiarati (prima di tutto, la crescita economica del Paese) per il semplice motivo che manca un vero movimento d’opposizione. Abbiamo un manipolo di burocrati detto Pd, che mantiene alcune delle sue rendite ma il cui discorso politico è vecchissimo e non tocca la realtà. Teniamo conto che, quando diciamo 'realtà', non dobbiamo intendere solo i bisogni elementari (casa, lavoro, diritto allo studio, sicurezza ecc.), ma anche i progetti, i sogni della gente, le loro ossessioni, i pensieri dominanti. Il fascismo non s’impose perché rispondeva ai bisogni della gente, ma perché governò i sentimenti.
Ci vuole, insomma, un’opposizione altrettanto forte, altrettanto capace di ideali immediatamente comunicabili, un’opposizione che faccia capire al Paese che l’isolamento, la xenofobia, il razzismo fanno vivere male anzitutto chi li professa, e che vivere bene è un’altra cosa. Ci vuole un’opposizione capace di recuperare, anche ingenuamente, un’area di desiderio (e di cose desiderabili) anche per chi non ha sessant’anni. Un solo uomo in Italia è capace di questo: il Papa. Perché il Papa porta con sé l’esperienza sudamericana letta attraverso i Padri della Chiesa e, quindi, una conoscenza viva, concreta, non teorica dei principichiave della Dottrina Sociale. Possibile che, con tutte le adunate giovanili, tutti i movimenti, tutte le Giornate mondiali della gioventù, tutto il fermento che vedo in tante parrocchie, tutte le scuole esplicitamente ispirate al cristianesimo, il livello educativo non riesca a superare la soglia del giovanilismo, non sappia produrre uomini adulti in grado di assumersi in gran numero queste responsabilità nel mondo con quella quota di sana follia (fino alla politica) che ha sempre costituito l’ossatura profetica della vita cristiana? Eppure durante il fascismo la Chiesa fece questo lavoro, tanto che, all’uscita dalla guerra, l’Italia ebbe la possibilità di risorgere grazie anche ai De Gasperi e a tutti coloro che, come lui, erano stati formati secondo le categorie del pensiero sociale cattolico. C’è, insomma, un problema educativo che s’intreccia con la politica, viene da lontano e mi pare vada molto al di là delle paure contingenti. Se non lo affrontiamo, e senza lasciar passare troppo tempo, mi sa che finiremo per essere, nostro malgrado, complici di ciò che cerchiamo di avversare.
Di qui la seconda preoccupazione: gli intellettuali. Una certa deriva ci ha abituato, negli ultimi anni, a considerare 'intellettuali' sostanzialmente gli scrittori, alcuni giornalisti, gli opinionisti televisivi e quelli che, in genere, frequentano i festival (letterari, filosofici, scientifici ecc.). È significativo che lo stesso Saviano, nel suo appello, menzioni «scrittori, giornalisti, cantanti, blogger» e perfino cuochi, stilisti, ballerini e youtuber e non menzioni chi regge le sorti dell’Università Italiana, rettori, presidi di Facoltà, docenti. Sarò vecchio, ma la spina dorsale morale e intellettuale di un Paese si produce in luoghi destinati a produrla, che non sono i talent show e nemmeno i festival letterari, ma le università, le accademie, gli Istituti tecnici superiori: i luoghi, insomma, dove si produce e si trasmette il primo nemico di tutti i tiranni: la conoscenza, il sapere.
Ci vogliono università che non solo offrano un programma formativo di buon livello (quelle ci sono anche da noi, altroché), ma che alla formazione uniscano l’educazione, ossia la crescita di uomini adulti. Perciò chi guida le università, a cominciare dai Rettori, oggi più che mai non può essere solo un esperto nel proprio campo, o un bravo politico (perché si sa che senza questa capacità non si arriva così in alto), ma un uomo capace di dare ai giovani – dentro il programma di studi – un indirizzo e gli strumenti utili alla loro crescita umana, e di difendere la bontà di questo indirizzo contro tutto e contro tutti. Questo è indispensabile. Ricorda il film Katyn? Dietro la torbida vicenda di un regime che cerca di scaricare su un altro regime la responsabilità di un eccidio, c’è la lucida, spietata consapevolezza che, una volta azzerata la classe degli intellettuali (ossia degli educatori), la Polonia si sarebbe trovata senza spina dorsale.
Un uomo adulto non è solo colui che si oppone o s’indigna: è soprattutto l’uomo che sa di dover rispondere della propria vita e del proprio operato. Dalla prigione in cui l’aveva rinchiuso Goebbels, Dietrich Bonhoeffer scrisse: «Chi resta saldo? Solo colui che non ha come criterio ultimo la propria ragione, il proprio principio, la propria coscienza, la propria libertà, la propria virtù, ma che è pronto a sacrificare tutto questo quando sia chiamato all’azione ubbidiente e responsabile, nella fede e nel vincolo esclusivo a Dio: l’uomo responsabile, la cui vita non vuole essere altro che una risposta alla domanda e alla chiamata di Dio. Dove sono questi uomini responsabili?». Questo mi pare il problema, e sono certo che la prima a dover rispondere, a nome di tutti gli uomini, sia la nostra amata Chiesa. Il Papa lo sta già facendo.