Opinioni

lettere@avvenire.it a voi la parola. La Parola che incammina e l'incontro che libera

venerdì 6 maggio 2016
Caro direttore, chiromanti, maghi e fattucchiere sono solo squallidi personaggi, disonesti e imbroglioni che approfittano della fragilità e delle condizioni di sofferenza della gente. La denuncia di papa Francesco è forte, senza ombra di dubbio, e la pronuncia con la convinta tranquillità di chi è perfettamente consapevole di ciò che dice e vuole. Parla, il Papa, per dare coscienza alle persone dell’inganno nel quale vivono, per svegliarle dal torpore nel quale si sono adagiate a inseguire dannose illusioni e per avvertire che il futuro non è già scritto, ma dipende da noi, al di là di disgrazie straordinarie che comunque vanno sempre gestite, dalle nostre scelte e dai nostri impegni. La voce liberatrice di papa Francesco si alza sempre per illuminare ogni aspetto del vivere umano. Non risparmia nulla a religiosi, politici, finanzieri, sportivi, commercianti, industriali e nemmeno ai lavoratori… Anche quando sembra arrendevole o buonista è invece “duro e puro”, come un diamante. Lo è con sé, con i suoi e con tutti i mistificatori, perché lui è al servizio della Verità, solo e nient’altro che della Verità. E questo è l’unico modo per salvarci dalla menzogna e costruire una società più pacifica e giusta. Papa Francesco è un uomo libero ed esigente e forse proprio per questo, è impressione diffusa e me ne dispiace moltissimo, non è seguito nemmeno da tanti, troppi dei suoi… Purtroppo la storia si ripete e può essere che qualche gallo canti ancora, ma in questo momento storico è indubbio che sia lui – lo riconoscono anche i lontani – il più grande e degno di considerazione “liberatore” dell’umanità. Gianni Marieschi È grande, caro amico, la forza di chi resta abbracciato a Cristo e abbraccia nel Suo nome. Il Papa ci è di continuo e incalzante esempio. Lei ha proprio ragione su questo punto. Meno, a mio parere, nel pensare che «tanti, troppi dei suoi» non vogliano saperne di camminare con Francesco. Io vedo anche esitazioni e dubbi, persino qualche reiterato e rabbioso rifiuto di ascoltare e capire la parola del Papa, ma vedo soprattutto tantissimi che di fronte alla «gioia del Vangelo» messa saldamente al centro dell’azione nella Chiesa aprono orecchie, occhi e cuore. E sono persone che partecipano attivamente alla vita delle comunità cristiane, ma anche che si sono fermate (o sono state tenute) ai margini di esse o che partono (e, a volte, tornano) da molto lontano. Questo significa «attrarre», cioè amare. Un ultimo pensiero: il «liberatore dell’umanità» è Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, misura della misericordia del Padre e della nostra. Francesco, chiamandoci all’«uscita» e all’«incontro», non smette di ricordarcelo. (mt) IMPEGNARSI PER LE VOCAZIONI GRANDE DONO DI DIO Gentile direttore, sappiamo quanto sia preziosa una vocazione sacerdotale o religiosa, soprattutto in questo tempo di crisi e di secolarizzazione. Sappiamo quanto sia atteso un prete o un parroco nelle parrocchie dove manca già da tempo. Tutti dobbiamo prendere coscienza che la crisi delle vocazioni è grave e dobbiamo mobilitarci per risolverla, assicurando il futuro delle nostre comunità cristiane. Il Concilio Vaticano II ha parlato chiaro presentando il prete come segno di Cristo presente e operante, al servizio della comunità cristiana. Che la crisi delle vocazioni non dipenda dalla scarsa conoscenza che abbiamo del sacerdote e del suo ministero? Che non sia conseguenza di una cultura miope e superficiale, senza valori? Che non dipenda dalla scarsa preghiera della comunità che si accontenta dell’esteriorità chiassosa invece che cercare l’interiorità e il silenzio? Può dipendere anche dalla condotta poco seria di qualche prete. Ma penso sia sbagliato anche l’atteggiamento di chi esalta troppo qualcuno di questi novelli leviti. Piano. «Stiamo bassi», diceva il nostro papa Luciani. E sulla stessa linea anche papa Francesco: «Pregate per noi vescovi: perché anche noi siamo peccatori, anche noi abbiamo debolezze, anche noi abbiamo il pericolo di Giuda: anche lui era stato eletto come colonna». Anche la Chiesa, pur santa, ha le sue «macchie e rughe», quindi tutti dobbiamo essere umili e impegnarci per le vocazioni come se tutto dipendesse da noi, ma aspettare come se tutto venisse da Dio. Niente come le vocazioni è dono di Dio. Cesare Vazza Longarone (Bl) RIMUOVERE SUBITO I VIZI DELLA “BUONA SCUOLA” Gentile direttore, «L’innovazione è il cuore del nostro tempo e il nostro tempo offre a chi ci prova e a chi si mette in gioco una grande occasione. Ecco perché l’Italia ha bisogno di provare concretamente a creare le condizioni perché la crescita torni stabilmente nel nostro Paese». Lo ha detto Matteo Renzi, celebrando i 70 anni della Vespa. Coerenza vorrebbe che all’enunciato seguisse l’azione: «Correggeremo gli errori sulla scuola», sono altre parole del premier. Bene, perché la formazione dei giovani è la carta vincente. Molti e diffusi sono i vizi che inficiano “La buona scuola”; la loro rimozione è improcrastinabile. Il titolo della legge 107 è l’errore più macroscopico: non più sistema educativo (legge 53/2003), ma sistema nazionale di istruzione. A una visione di lungo periodo, avente come cardine lo sviluppo delle capacità degli studenti, è contrapposta una prospettiva di breve periodo: i giovani devono adeguarsi all’esistente. Si tratta di una scelta strategica sovversiva: la sostanza dell’autonomia scolastica è sterilizzata. Da un lato «si sostanzia di progettazione educativa, formativa, dell’istruzione» [DPR 275/1999], dall’altro lato è funzionale alle diverse esigenze amministrative: futuro contro difesa dello status quo. L’elenco delle note dolenti è corposo; ne cito solo due. Il servizio scolastico è scaraventato nell’indeterminatezza: gli strumenti operativi sono stati elencati tra le finalità. Così il principio di distinzione, fondamento della scienza dell’organizzazione, è infranto: la figura del controllore e quella del controllato coincidono. Enrico Maranzana