Opinioni

Una riscoperta delle tradizioni sobrie (e gustose). La parabola del vino Novello un segno di uscita dall’effimero

Paolo Massobrio venerdì 29 novembre 2013
Non ce ne siamo neppure accorti, eppure il novembre di quest’anno è passato senza le consuete citazioni del vino Novello, solitamente oggetto di servizi televisivi, interviste, articoli sui giornali... Ma sì, era il primo vino della vendemmia appena terminata, del genere leggero e fruttato, che veniva prodotto secondo la tecnica della macerazione carbonica. Un vino che aveva seguito il successo dei Beaujolais francesi, e che non è mai piaciuto agli enofili, ancor più per la sua breve durata (in primavera è già decaduto).
Oggi non se ne parla più, e le aziende che lo producono sono sempre meno. Non ne sentiremo la mancanza, anche perché come vino non aveva attinenza con i piatti che si assaggiano in autunno, e non va neppur bene con le castagne ( rara avis anche questo genere di alimento). Parlare al passato, tuttavia sarebbe frettoloso, perché dal 30 di ottobre in poi ne sono comunque uscite di queste bottiglie, ma al minimo storico della produzione. Che cosa ci dice la vicenda del Novello che quasi più nessuno considera? Ci dice che è tramontata l’era dell’effimero, anche in campo alimentare, mentre si attende, da un lustro all’altro, che tramonti pure l’era dello spreco, oggetto di un dibattito proprio in questa settimana, quella della colletta alimentare, la raccolta di alimenti promossa dal Banco Alimentare per sostenere il bisogno sempre più crescente di dare un pasto ai nuovi poveri del nostro Paese.
Ma c’è un’altra notizia che ha fatto breccia sui giornali: si consuma meno pane. Segno della crisi, vien subito da pensare, e invece no: il calo del pane è correlato alle notizie, che si rincorrono, sulle abitudini alimentari. E anch’esso come il vino novello sarebbe sceso ai minimi storici, proprio perché il primo sacrificio di chi si mette a dieta è quello della rinuncia al pane. Così, dai 230 grammi di pane al giorno del 1980, si è scesi 98 grammi di oggi, secondo i dati di Coldiretti. Eppure, il pane è buono. Anzi, si usa dire di una persona: 'Buono come il pane', e la gamma di pagnotte diverse sfornate ogni giorno caratterizza ogni angolo d’Italia.
Il Banco Popolare di Verona, in questi giorni, è uscito con un libro strenna dedicato proprio al pane, Di pane in pane, la buona tradizione, dove si evince che questo prodotto non è più da considerare tra le cosiddette commodities , ma una prelibatezza, che mette in campo ricerca, ma anche produzioni di qualità, nelle svariate panetterie italiane. Non è un caso, ad esempio, che ai mercatini agricoli, ad esempio quelli di Campagna Amica, ci sia più di d’un banchetto che vende anche il pane, cotto nel forno della propria cascina. Un pane che non si spreca, che rimane buono anche dopo alcuni giorni, che magari è prodotto con farine di grani dimenticati. Sembra un paradosso tutto questo, ma stiamo scoprendo un mondo, che è poi il mondo dei nostri nonni.
Il prossimo passo (finalmente) sarà la riscoperta delle zuppe, che non si fanno più da svariati anni nelle famiglie italiane. Eppure, non solo sono il vero ricettario del recupero degli avanzi della nostra saggezza contadina (anche del pane), ma risultano pure buone, buonissime. Le accettiamo al ristorante, ma ancora non le cuciniamo, quasi a voler scagionare un passato dove si faceva letteralmente di ogni necessità una virtù. Anche col vino è lo stesso: apriamo le bottiglie che abbiamo in cantina, anche quelle di vino 'importante' (lo spreco di vino non aperto per riverenza, apre un altro capitolo sugli alimenti che deperiscono), e magari rinunciamo per sempre al vino novello. Ne guadagneremo in gusto.
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