Cibo è vita. La pandemia, le guerre, il clima. Il pianeta ha sempre più fame
Nel Sud del mondo si lotta per l’approvvigionamento
In un mondo dove si getta un terzo del cibo prodotto, 2,8 miliardi di persone non hanno accesso a una dieta sana: dalle regole inadeguate agli eccessi speculativi, nel piatto uno specchio delle diseguaglianze economiche globali Con lo spazio mensile “Cibo è vita”, che inizia oggi a cura di Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, approfondiamo i grandi temi che incidono sulla sicurezza alimentare globale. L’obiettivo “Fame Zero” indicato nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dalle Nazioni Unite è ancora molto lontano. I paradossi dell’abbondanza sono evidenti: milioni di persone soffrono di malnutrizione mentre molti altri di obesità e ogni giorno sprechiamo sulle nostre tavole almeno un terzo del cibo che produciamo nei campi. Il cambiamento climatico impatta su tutte le agricolture del mondo, e scienza e innovazione sostenibile possono offrire nuove soluzioni. Comprendere la centralità di questi argomenti e la loro connessione profonda con i temi della pace e della giustizia sociale sarà sempre più importante per capire quanto la comunità internazionale saprà affrontarli garantendo davvero il bene comune.
C’è un passaggio forte del libro “Fame” di Martin Caparròs che mi è rimasto in mente. L’autore chiede a una ragazza nigerina che cosa avrebbe scelto se un mago le avesse offerto la possibilità di ricevere qualsiasi cosa. La risposta della giovane madre fu disarmante: una vacca. E incalzata a chiedere di più al mago, la sua replica fu altrettanto secca: «Allora due vacche. Così una sfamerà i miei figli e con l’altra potrò vendere qualcosa e non avere più fame». Ecco, sta tutto qui. A dispetto di certe previsioni del passato, la fame rimane un gigantesco problema del nostro tempo. C’è stato un momento, in particolare nella fase della globalizzazione a cavallo dei due secoli, in cui queste urgenze sembravano scemare. L’agenda del mondo parlava di petrolio, di gas e poi ancora di Internet e della nuova finanza legata alla rete. Ma si rifletteva poco su cibo e fame. Se ne parlava di fronte a grandi drammi umanitari. Poi, passata l’onda emotiva, il silenzio.
Il fatto è che in qualche modo si pensava che il mondo fosse riuscito a prendere la via del superamento della fame. Dati e analisi ci hanno dimostrato che certamente sono stati compiuti significativi passi, soprattutto in alcune realtà cruciali. Pensate alla Cina o al Brasile, ad esempio. Da quando la Fao ha cominciato a misurare la “fame nel mondo” abbiamo attraversato un periodo di lento progresso, che ha portato la stima dai circa 920 milioni di persone per il 1970 ai 785 milioni nel 2000. Da allora, una stasi – se non addirittura un peggioramento, nel periodo fino al 2005, quando si sono superati di nuovo gli 800 milioni. Tra il 2005 e il 2015 si è avuto il progresso più rapido che ha portato a ridurre la cifra al di sotto dei 600 milioni, a cui ha fatto seguito però di nuovo un arresto nel progresso, fino al 2020, quando la pandemia ha imposto un peggioramento che ancora non siamo riusciti a invertire. Il tasso di aumento della fame negli ultimi quattro anni non ha precedenti nella storia recente.
Nel 2023 una persona su undici in tutto il mondo e una persona su cinque nella sola Africa è stata vittima della fame. Il fatto è che il mondo è arretrato di venticinque anni precipitando ai livelli si sottoalimentazione paragonabili a quelli di inizio millennio. Ma cosa è successo? In questi anni, la combinazione di almeno tre crisi ha cambiato lo scenario anche in fatto di insicurezza alimentare: il covid con i suoi effetti di medio-lungo termine, l’esplosione di nuovi drammatici conflitti e guerre, la crisi climatica. Covid, conflitti e clima: sono le tre c della crisi alimentare globale. La pandemia ha colpito duramente i più fragili, anche in materia di approvvigionamento alimentare e i suoi effetti concatenati ad altre variabili si fanno ancora sentire. Si calcola che siano oltre cento milioni le persone entrate nell’area dell’insicurezza alimentare a causa della pandemia. Pensate al connubio Covid-crisi energetica, aggravata in particolare dalla guerra in Ucraina. Le conseguenze sulla crescita dell’inflazione alimentare in tanti paesi sono state immediate e ancora troppe realtà stanno scontando aumenti di prezzi insostenibili. Le guerre rimangono la causa principale della fame. E ciò è tanto più vero oggi, con quello che sta accadendo in Medio Oriente.
È cambiato il secolo, sono arrivati droni e satelliti, ma i conflitti portano ancora trincee, sfollati, fame e sete usate come strumento di guerra. Non finirà mai la fame se non finiranno le guerre; è un’amara verità anche nell’anno 2024. E poi, la crisi climatica. Con il suo portato ormai strutturale ovunque e il grave rischio di perdere parti essenziali del patrimonio di biodiversità globale. Con l’estremizzazione sempre più frequente degli eventi atmosferici, tra inondazioni e siccità, e l’aumento delle temperature che modifica i cicli di vita delle piante e della natura, muta le agricolture, i paesaggi rurali e le vite di milioni di persone.
Tutto ciò provoca effetti dirompenti. Basta pensare all’oro blu, ossia all’acqua, che in alcune zone varrà più del petrolio. O alle migrazioni interne ai paesi più colpiti, in aree fragili come l’Africa, all’iper-urbanizzazione di queste realtà che diventerà un mega trend nel ventunesimo secolo. Ma occorre pensare anche alle nuove zoonosi e ai virus, al bisogno di comprendere sempre di più che la salute dell’uomo è intrinsecamente legata a quella degli animali e della natura. Mai dimenticare che la mappa globale della fame si sovrappone a quella della crisi climatica. Così come a quella del debito dei paesi più fragili. Perché il nesso è stringente. Si capisce anche da questa sommaria ricognizione delle grandi faglie che compongono l’insicurezza alimentare che il tema è centrale per le nostre sorti. Ma oltre le tre “c” di clima, conflitti e Covid, i sistemi agricoli e alimentari sono attraversati da profonde ineguaglianze.
Papa Francesco ha parlato giustamente dei paradossi dell’abbondanza: In un sprechiamo un terzo del cibo che produciamo mentre 2,8 miliardi di persone non hanno accesso a una dieta sana; abbiamo milioni di affamati e nel contempo milioni di persone con problemi di obesità. In mezzo, la piaga del lavoro minorile e del caporalato che dobbiamo estirpare. Senza dimenticare mai il ruolo chiave delle donne. Le contraddizioni sono profonde. Le catene del valore sono sbilanciate verso gli anelli più forti, a scapito di agricoltori, allevatori e pescatori. Il loro potere contrattuale troppo spesso è fragile e disorganizzato. I prezzi risentono strutturalmente di questo squilibrio e sempre più frequentemente non consentono ai produttori di trovare la giusta remunerazione. I mercati hanno bisogno di regole più forti e giuste. Certamente, non hanno bisogno di nuovi istinti protezionistici, che hanno sempre fatto pagare il prezzo più caro proprio agli anelli fragili delle catene produttive.
Il discorso è complesso ma non si può eludere e riguarda anche le politiche protezionistiche dei paesi più forti e il ruolo assunto dai paesi a basso reddito, diventati sempre più importatori. Le speculazioni finanziarie sui beni agricoli non sono solo una intuizione cinematografica, come in “Una poltrona per due”. Nel mondo reale esistono e hanno bisogno di essere affrontate con regole capaci di impedire le peggiori azioni lucrative ai danni dell’economia reale. Dove i “derivati” valgono decine di volte più dei raccolti reali. Eppure c’è un enorme bisogno di buona finanza per sostenere la trasformazione dei sistemi agroalimentari: oggi meno del 4% della finanza globale per il clima viene investita nel settore primario. Troppo poco. E sempre di più dovremo occuparci dei diritti di accesso alla terra e della finanziarizzazione del prezzo della terra con i grandi rischi che ne stanno derivando.
La curva demografica ci dice che la popolazione mondiale crescerà ancora. La sfida di «produrre meglio consumando meno» è una questione che punta al cuore del nuovo equilibrio necessario per l’umanità e il pianeta. La scienza e l’innovazione possono essere decisive, com’è accaduto in passato lungo tutta la storia agricola dell’uomo. La nuova genetica sostenibile, ad esempio, può essere decisiva per raccolti resilienti al clima. Il benessere animale sarà altrettanto cruciale. L’utilizzo dei dati per prevenire, non sprecare, altrettanto. Il punto, anche qui, sarà con quale grado di pari opportunità potremo dotare chi ha un maggior bisogno di queste innovazioni. Perché senza un equilibrio nelle proprietà e nell’utilizzo di queste novità rischiamo che il solco tra forti e deboli si allarghi.
E qui emerge la funzione indispensabile delle istituzioni, specie quelle nazionali e sovrannazionali, per regolare e indirizzare questo avanzamento decisivo. Il multilateralismo è in crisi ma la risposta non è abbatterlo, ma rinnovarlo e rilanciarlo come strumento di pace e cooperazione. A me pare una sfida esiziale oggi più che mai. Perché nessuna nazione e nel popolo, per quanto grande, può bastare a se stesso. E la speranza più importante è che un giorno la giovane madre nigerina intervistata da Caparròs possa chiedere al mago qualcosa di più, e di diverso, di una vacca per sopravvivere.
Vicedirettore generale Fao, Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura