Pechino 2022. La palla (di neve) avvelenata non si addice all'azzurro
Alle prossime Olimpiadi di Milano Cortina 2026 il Cio non introduca la nuova disciplina: la “Palla (di neve) avvelenata”. Vittima assoluta di questo sport, non ancora omologato alle Olimpiadi invernali di Pechino 2022, è stata la pattinatrice russa Kamila Valieva. Ultimo esercizio: doppia caduta con scivolone fuori dal podio (quarta). Un finale che ha evitato l’intrigo internazionale e la conseguente storica presa di posizione del Cio, deciso a non premiare la ragazza, fermata per doping dalla Wada e poi riammessa dal Tas, in quanto “categoria protetta”.
È un’atleta under 16. La “Palla avvelenata” in questo caso è entrata nelle vene della Valieva: positiva alla trimetadizina, sostanza che si dà ai malati di cuore, e non certo a dei campioni olimpici. «L’ha bevuta dal bicchiere del nonno» (cardiopatico ovviamente) è stata la patetica difesa dei legali russi. La triste storia di Kamila, ostaggio dei Dulcamara russi conferma che il doping rimane una piaga dello sport che non si rimargina, mai. Adottando lo stesso parametro, il Tas avrebbe dovuto far gareggiare il marciatore azzurro Alex Schwazer alle Olimpiadi estive di Rio 2016, e anche l’americana Sha’Carri Richardson (positiva alla cannabis) sarebbe stata riammessa ai Giochi di Tokyo 2020, senza dover invocare scenari da guerra fredda, Usa-Russia, o l’accusa di «razzismo» nei suoi confronti, rispetto al caso Valieva.
Ma piovono “Palle avvelenate” anche sulla squadra azzurra. L’Italia delle nevi e dei ghiacci, con 16 medaglie (finora) è seconda solo alla spedizione olimpica di Lillehammer ’94. Se fosse ancora qui tra noi “Bisteccone” Galeazzi rispolvererebbe il suo celeberrimo: «Siamo tutti sport invernali!». Entusiasmo nazionalpopolare. Sveglia nel cuore della notte per seguire la finale del curling, con calciofili impenitenti che adesso parlano con sicumera dello short track.
Ma l’esultanza e la lucentezza delle medaglie, cede la pista alle ombre, ai dissapori tra sorelle d’Italia e alle denunce di stalkeraggio, anzi di “nonnismo”, trattandosi di atleti che provengono dai gruppi militari. Il filo di queste nefandezze portano ad Arianna Fontana, l’olimpica azzurra più titolata di sempre (11 medaglie in carriera da Torino 2006 a Pechino 2022) che appena scesa dal podio dei 1.500 individuali di short track ha ribadito con tristezza: «La Federazione mi ha ostacolato in ogni modo... Ci sono stati dei pattinatori che hanno cercato di farmi cadere in allenamento quattro anni fa. E uno di loro è qui a Pechino».
Ora, le Federazioni straniere, a cominciare dall’Olanda, sono pronte ad adottare la Fontana, considerandola una sorta di prigioniera politica della Fisg (Federazione italiana sport del ghiaccio). Alla fine, sono Giochi di nervi, e anche di “malaeducazione”. La mamma di Federica Brignone, l’ex campionessa azzurra dello sci, Maria Rosa Quario, dopo l’argento nella discesa libera di Sofia Goggia, invece di complimentarsi con la compagna di Nazionale della sua Federica, è partita con una reprimenda da maestrina dalla penna rossa. Ha dato dell’«egocentrica da morire» alla Sofia, che, a scanso di abbracci equivoci, non è «mai stata amica della Fede» e poi ha concluso con una diagnosi da chirurgo ortopedico, quale non è: «L’infortunio della Goggia non era poi così grave, visto che è tornata dopo 23 giorni». Un clima assurdamente bellico, come ne I ventitrè giorni di Albadi Beppe Fenoglio.
D’accordo che ogni genitore è partigiano del proprio pupillo, ma qui dalla discesa libera siamo trascesi alla deriva del fairplay. Mamma Quario dovrebbe essere strafelice e appagata da una figlia che l’ha “combinata grossa” anche ieri: Brignone con il bronzo ( combinata nordica) si porta a casa la terza medaglia olimpica in carriera. E allora, basta con la “Palla avvelenata”, abbracciatevi o che almeno sia tregua olimpica.