Opinioni

Le persone restano al centro. La pagina bianca del post Covid

Riccardo Maccioni martedì 9 maggio 2023

Potrebbe diventare uno spartiacque. Come le grandi guerre o, per un po’ di tempo, l’11 settembre 2001 per l’attacco alle Torri gemelle. Forse si dirà “prima” o “dopo” la pandemia, a indicare lo stacco tra il “pre”, che crediamo di conoscere bene, e il “post” pagina bianca su cui pochi, in apparenza, oggi sono disposti a scrivere.

Perché di Covid non si discute quasi più. Lo fanno i no vax o chi in varia misura cerca rivincite sulle ingiuste, secondo loro, privazioni della libertà nei due anni e mezzo di paura. Lo stesso annuncio dell’Oms (l’Organizzazione mondiale della sanità) che l’emergenza mondiale è finita non ha avuto grande risalto, né sui media, né nel dibattito familiare. Probabilmente dipende dal poco tempo passato dalla fase acuta, o dalla consapevolezza di aver commesso tanti errori o, soprattutto, dal dover fare i conti con una domanda che ci costringe a guardarci dentro: come siamo cambiati?

Anche il mondo dell’arte pare in affanno: pochi romanzi e film, ancora meno dibattiti culturali, qualche timido richiamo nella musica pop. Meglio, molto meglio riprendere tutto come se niente fosse successo. Peccato che non si possa. E non serve una laurea in sociologia per documentarlo, è sufficiente l’osservazione della vita quotidiana. Pensiamo alla crescita del lavoro da casa, positivo sotto tanti aspetti ma non per le relazioni personali, pensiamo a un’intera generazione di ragazzi penalizzati dalla pur necessaria didattica a distanza, pensiamo al timore inconscio nel costruire nuovi rapporti.

Nel dubbio abbiamo provato a trasformare la fragilità in valore, trattando da sinonimi l’umanità e la paura, che come dato comune hanno solo la certezza della non autosufficienza. Un disagio che nel periodo di lockdown ha assunto l’aspetto tragico degli anziani isolati nelle Rsa e dei morti seppelliti senza la carezza di un parente. Erano i giorni degli slogan-mantra: andrà tutto bene, nessuno si salva da solo, siamo tutti sulla stessa barca. La tempesta ha smascherato la nostra vulnerabilità, rovesciando o comunque modificando l’agenda dei valori, richiamandoci al vero essenziale, costringendoci alle domande sul senso del vivere. Ora di nuovo silenziate. L’impressione è che si sia tornati all’ante, che i buoni propositi di allora siano rimasti tali, che nei programmi delle nostre giornate domini la corsa all’indietro, a riempire nuovamente di cose ogni casella del programma personale. Ripeto: non si tratta di dati scientifici ma di osservazione della realtà. Propongono invece riscontri su cui riflettere gli studi, dell’Oms stesso o pubblicati su riviste specializzate come Plos one, che parlano di maturità interrotta nei giovani con aumento dell’introversione, delle chiusure agli altri, dell’aggressività. Di pari passo crescono le richieste a Caritas e San Vincenzo, nonché il ricorso ai centri d’ascolto.

Ed è il rovescio della medaglia, quello che chiama in causa l’esercito disarmato della solidarietà, fatto di prossimità, di attenzione ai bisogni quotidiani, di centralità degli ultimi. La Chiesa non è si è mai fermata, puntando sulla creatività pastorale nei periodi di buia emergenza, nella denuncia e nella lotta alle sperequazioni durante e dopo, nella centralità della persona sempre, senza mai arrendersi al distacco e all’isolamento. Vanno in questo senso le nuove indicazioni, diffuse ieri dalla presidenza della Cei, che a partire dall’annuncio della fine dell’emergenza chiama a un ritorno alla normalità della vita ecclesiale, compreso un minor ricorso, anzi se possibile la cessazione, delle Messe in streaming. Non si tratta, ovviamente di “criminalizzare” rete e social media ma di recuperare il senso più autentico della celebrazione, che è comunitario. Stare insieme dunque, anche fisicamente. Sull’esempio degli apostoli, la cui familiarità con il Signore, ha ricordato più volte papa Francesco, era sempre nel segno della condivisione, a cominciare dalla tavola. E poi c’è la dimensione dell’incontro, dell’ascolto, del confrontarsi per crescere insieme, del pregare l’uno per l’altro. Il tempo speso con i fratelli non è mai perso, e se viene donato nel nome di Gesù, ci viene restituito carico di benedizioni. È questa in fondo la lezione della pandemia: pre o post che sia, al centro ci sono le persone, da accompagnare e sostenere. Sempre. Valeva “prima”, vale a maggior ragione adesso. Nel “dopo”, che poi è un oggi da costruire giorno per giorno.