La filosofa/Senza ipocrisie. La pace non è ingenuità e la guerra è tradimento
Le scelte che compiamo nello spazio pubblico hanno un rilievo simbolico, etico e politico, che spesso va al di là di quel che supponiamo. Chi in questi giorni, in piazza, in Parlamento, in un canale televisivo, oppure altrove, innalza un drappo nazionale, veste o esibisce i colori giallo-azzurri della bandiera ucraina, parteggia, si schiera in questa nuova guerra europea. Quella scelta, apparentemente innocua, dal lato del popolo aggredito, finisce tuttavia per assecondare la logica dei fronti e rafforzare persino l’ordine bellico. Tanto più se si applaude a un leader come Volodymyr Zelensky che, oltre alla 'no fly zone', chiede sempre più armi. Ma non si difende un popolo aggredito con più violenza e più guerra. Al contrario, lo si difende costruendo subito la pace.
Questo è ben chiaro ai pacifisti che, proprio perché non accettano l’ordine degli schieramenti, e anzi tentano di disdirlo, sono oggi bersaglio di odio, insulti, pubblico dileggio. Ma forse ancora più grave e preoccupante di tutto ciò è la mistificazione che si va insinuando. Chi è favorevole all’invio di armi agli ucraini, e parla perciò di 'guerra giusta', esprime una posizione che deve essere democraticamente rispettata, ma che non può in nessun modo spacciarsi per pacifista. O armi o pace. L’alternativa non potrebbe essere più netta. Qualcuno ha provato malamente a stigmatizzare un pacifismo integralista da cui si distinguerebbe quello più opportuno e oculato – cioè quello che blandisce e invia le armi. Ma un pacifismo belligerante è un pericoloso ossimoro, una fatale contraddizione in termini. I pacifisti respingono questa mistificazione e non si lasciano fuorviare. Perché sanno bene che – come dimostra la storia delle guerre europee – quando si sono trasformati in interventisti, magari inconsapevolmente, hanno contribuito alla distruzione.
La violenza è immediata: è quel lasciarsi andare all’offesa, al colpo inferto, all’uccisione. La guerra trasforma ovunque l’altro non solo in nemico, ma anche in cosa. E chi asseconda questa violenza finisce a sua volta per essere ridotto a oggetto. Ecco perché la guerra schiavizza tutti. La pace non viene da sé – richiede uno sforzo. È lo sforzo di non ammirare la violenza, di non odiare quelli che vengono additati a nemici. Certo, oggi è molto più comoda la parte di chi proclama di voler difendere il popolo ucraino inviando armi. Ben più difficile è invece il ruolo di chi, mentre condanna senza mezzi termini l’invasione russa, lamenta l’inutile sacrificio, denuncia la perdita di migliaia di vite umane, e guarda a trattativa e negoziato. Chi è pacifista crede nella parola al di là dei fronti, e dunque alla possibilità di oltrepassare la violenza che è sempre rozza immediatezza. Contestare gli schieramenti bellici non significa avere l’equidistanza dell’indifferenza – né tanto meno voltarsi dall’altra parte. Molti pacifisti attuali sono tra coloro che non voltano le spalle neppure alle tante vite dimenticate e abbandonate – a cominciare da quelle dei migranti rinchiusi e torturati nei campi libici.
La pace non è né un tradimento, ma neppure un’ingenuità. Non è né la falsa informazione di vili pifferai putiniani, né tanto meno la condotta di anime belle e sprovvedute. La pace in questo senso non è la temporanea rivalsa della morale sulla politica, la sua sospensione. Piuttosto è l’impegno politico imprescindibile nel mondo globalizzato del XXI secolo – l’unica via di salvezza. Per questo non è accettabile il discorso di quei leader politici che sostengono di essere 'per la pace' mentre, in un momento di grave crisi, annunciano di voler far salire sino al 2% del Pil le spese militari. Su questo si deve essere chiari una buona volta: non si insegue la pace ricorrendo alla guerra. Occorre uscire da questa visione in cui la pace non può che essere un concetto negativo. La pace non viene dopo, non è di là da venire, non può essere differita. Perché è invece al di là della guerra. È la prospettiva di una nuova politica in grado di guardare con il realismo dell’urgenza all’alternativa. La pace viene prima della guerra. È il riconoscimento della lezione che dovremmo aver appreso nella pandemia: nessuno si salva da solo. Tanto meno nello scenario di una terza guerra mondiale con il nucleare sullo sfondo.
Filosofa, Università di Roma La Sapienza