Botta e risposta. «Nuvola» che connette gli umani e l'antitesi del messaggio cristiano
Gentile direttore,
complimenti per il felice accostamento, nella prima pagina di Agorà, ('Avvenire' del 15/01/2019), dei due articoli di Giuseppe O. Longo e di Piero Pisarra sulle prospettive del post-umano. Alla fine del suo elzeviro, Longo conclude che «il mondo e le sue scintillanti sirene sono sempre con noi tramite una profusione di app» e si chiede «quali possano essere le conseguenze a lungo termine per l’umanità di questa ibridazione sempre più spinta e quali saranno le conseguenze socio culturali della bi-direzionalità del telefono intelligente, che non solo ci permette di collegarci con il mondo esterno e con i nostri congeneri, ma anche ci espone ai loro contatti e li fa entrare nel nostro mondo cognitivo ed emotivo». L’autore sembra esitare a descrivere quale possa essere il destino di questa nostra umanità, costantemente connessa attraverso gli smartphone, accessori irrinunciabili di cui, volontariamente si è dotata la maggior parte di noi: uomini e donne assolutamente determinati a non più privarsene. Una simile situazione era stata immaginata, nel 1958, dal brillante astronomo Fred Hoyle in un singolare romanzo intitolato ' La Nuvola nera', da lui stesso definito nella prefazione: «...una fantasia che spero piaccia ai miei colleghi scienziati. Dopo tutto, fra le cose che vi ho raccontato, poche sono quelle che, a rigor di logica, non potrebbero accadere». Questa fantasia di Hoyle può rispondere in maniera impressionante al quesito posto da Longo. Infatti, Hoyle descrive lo sviluppo di un corpo celeste, la Nuvola nera, appunto, come un organismo vivente, in questi termini: «Ecco come vedo l’evoluzione biologica all’interno della Nuvola. Agli inizi io ritengo che debba esserci stata una quantità di individui singoli, senza nessun rapporto fra l’uno e l’altro. Poi è cominciata la comunicazione... Gli individui si sono dotati di un mezzo di trasmissione elettromagnetica delle informazioni a distanza (le onde radio), a mo’ di organo biologico, con apposite protesi. Poi tale comunicazione si è sviluppata in una misura che noi non riusciamo nemmeno a immaginare: basta pensare e il pensiero, immediatamente, è trasmesso. Basta provare un sentimento e, subito, tutti gli altri ne partecipano. In questo modo, l’individuo scompare ed evolve verso un nuovo complesso vivente e coerente». A questa fantasia di Hoyle possiamo però affiancare anche altri esempi di questa possibilità evolutiva. Nel campo artistico, ad esempio, il patrimonio culturale di ogni generazione viene trasmesso, in maniera non consapevole, alla generazione successiva secondo un meccanismo di selezione che privilegia la qualità: si tramette e dura nel tempo solo ciò che vale. Un altro esempio può essere preso dalla struttura e dalla dottrina della Chiesa Cattolica che, per scelta consapevole dei suoi membri, viene insegnata e trasmessa di generazione in generazione, rimanendo così, viva, indipendentemente dalla morte dei propri fedeli. E come questi, tanti altri esempi potrebbero essere elencati. Questa non caducità può costituire un primo barlume di quella eternità vagheggiata e mai raggiunta, che però, nel libro della Genesi viene prospettata da subito, come orizzonte per l’umanità: «... a immagine di Dio li creò!».
Gentile signor Mazzullo,
il direttore affida a me la risposta alla sua lettera dotta e, mi pare, un po’ provocatoria. Non so se sono la persona più indicata, infatti le confesso che al solo sentire parlare di «post-umano » avverto un brivido. A me pare spesso, guardandomi attorno, che ancora non siamo giunti all’«umano», perlomeno non dappertutto, e non pienamente. E l’idea, forse per qualcuno affascinante, di una post-umanità universalmente connessa dentro una Nuvola digitale – dove «basta pensare, e subito il pensiero è da tutti condiviso», dove «l’individuo scompare ed evolve verso un nuovo complesso vivente e coerente» – ebbene questa idea mi appare, più che fantascientifica, sinistra. Lei vuole scherzare, mi viene da risponderle, signor Mazzullo. Giacché faccio fatica a pensare che davvero possa suonare desiderabile a qualcuno un 'cloud' onnisciente e vorace, che tutto sa e tutto riferisce, senza che resti a ciascuno la libertà di formulare un pensiero proprio, e, ancora più, la libertà di non ammettere un pensiero altrui nella propria coscienza: la libertà, dunque, di non essere invasi da un pensiero collettivo. Davvero mi pare una ipotesi buona per la sceneggiatura di uno di quei film che ti portano per due ore nell’angoscia; e da cui esci scrollandoti la cupezza di dosso con sollievo, perché è stato come un brutto sogno. Ma dove la sua ipotesi si fa, per me, più inquietante è quando lei scrive: «Un altro esempio può essere preso dalla struttura e dalla dottrina della Chiesa Cattolica che, per scelta consapevole dei suoi membri, viene insegnata e trasmessa di generazione in generazione, rimanendo così, viva, indipendentemente dalla morte dei propri fedeli». La Chiesa, che è cosa viva, trasmessa come un codice. Come un insieme di leggi che restino intatte, anche quando tutti coloro che ne hanno vissuto siano morti. Un cristianesimo senza cristiani, ridotto a norma, a pura sapienza, incluso automaticamente in quella nuvola digitale bulimica che memorizza ogni cosa, e ogni cosa inculca, in automatico, nelle nuove generazioni. No: intanto non è mai, la nostra fede, riducibile a una norma, e tantomeno a un codice. Questo equivoco c’è stato, nella storia, con la tentazione di trasformare la parola di Cristo in un manuale di retti e corretti insegnamenti. Parlando solo di un vicino passato, la mia generazione – quella di chi andava all’oratorio negli anni 60 – ha sofferto non raramente di questa impostazione moralista, e molti proprio per questo se ne sono andati. Ma Benedetto XVI nell’incipit della Deus caritas est ha sottolineato con forza che al principio del cristianesimo non c’è una dottrina, ma «un avvenimento». Cioè il farsi Cristo carne, il venire tra gli uomini di Cristo, in un atto di amore. Quel rapporto di amore e affetto e amicizia che di padre in figlio, di maestro in allievo, o tra fratelli o compagni, realmente trasmette e perpetua la fede cristiana. Papa Francesco continua a ripetercelo e a dimostrarlo con piccole parabole e con gesti di vangelo: la fede la si eredita perché qualcuno che crede in Cristo ti guarda come gli altri non ti guardano: con rispetto, misericordia, speranza. Ti guarda come fossi suo fratello: è questo, e non una legge, che meraviglia e conquista. Una 'nuvola' con l’intero cristianesimo dentro, norme e codicilli, ereditata da ogni nuovo nato, sapienza meccanicamente acquisita e non scelta. Mio Dio, che non sia mai possibile. Che ne sarebbe del dono più grande che abbiamo, la libertà? (Ancora, in versione digitale, la tentazione di fare a meno, della libertà. Come scrisse Eliot ne 'I cori da La Rocca': «Sognando sistemi talmente perfetti/ che più nessuno avrebbe bisogno d’essere buono»). Per fortuna, penso egoisticamente fra me, io sono quasi vecchia. Nel dopoguerra, al termine di una conferenza al Mit di Boston in cui si auspicava un mondo futuro governato da un meccanismo perfetto, Churchill si alzò e commentò soltanto: «Spero per quel tempo di essere già morto». Verrebbe da dirlo anche a me, di fronte a certi scenari. Però, io ho dei figli. Forse anche il lettore ne ha. Per loro prego in un avvenire libero da Nuvole proliferanti come cellule impazzite, che pretendano di rifondare l’umano, e di sostituirlo.