Opinioni

Dopo la Brexit / 2. La nuova politica ci salverà. Non la lotta contro l'Ue

Leonardo Becchetti martedì 17 dicembre 2019

La vittoria elettorale del Partito conservatore inglese pro-Brexit ha risvegliato le pulsioni 'irredentiste' di chi da noi crede che l’uscita dall’euro e dall’Unione Europea possa essere propagandata con successo come una soluzione 'magica' ai problemi del Paese. Il fatto che problemi analoghi a quelli dell’Inghilterra siano vissuti dai ceti medi e dalle classi più deboli in quasi tutti i Paesi del mondo e in particolare nei Paesi ad alto reddito dovrebbe far sorgere qualche sospetto che si tratti di una visione semplicistica e fallace.

Per quale motivo, ad esempio, gli Stati Uniti d’America stanno vivendo una delle più gravi crisi della loro storia con un’epidemia di morti per disperazione che ha mietuto nel 2017 più vittime di tutti i soldati americani caduti nella guerra dell’Iraq e del Vietnam messi insieme? E perché questo è accaduto nel Paese con la maggiore libertà macroeconomica, detentore della valuta mondiale di riserva e in grado di realizzare tutte le politiche monetarie e fiscali espansive possibili? Se studiamo più a fondo la situazione ci accorgiamo che il disagio ha radici più profonde e almeno due dimensioni. Lo studio statistico ed econometrico della situazione americana ed europea dimostra che dietro il disagio degli 'ultimi' negli Stati Uniti ci sono almeno quattro fattori: basso reddito, bassa istruzione, povertà di vita relazionale e una visione materialista della vita dove ciò che vale è ricchezza e successo e dunque gli 'scartati' sono doppiamente perdenti.

La prima dimensione del problema è dunque di carattere economico. La globalizzazione ha indebolito il potere contrattuale degli Stati nazionali che hanno potere solo all’interno dei loro confini rispetto a imprese che si muovono in un campo da gioco globale. E dunque possono minacciare di delocalizzare la produzione (Arcelor Mittal docet) non appena ritengono che il costo del lavoro, i costi della tutela ambientale, della salute dei cittadini e le tasse pagate sono troppo alte. Nasce così una gigantesca corsa al ribasso che riduce progressivamente salari e tutele dei più deboli e dei ceti medi, aumenta la diseguaglianza all’interno di ciascun Paese e riduce le risorse fiscali a disposizione degli Stati per finanziare beni pubblici come salute e istruzione. Si delineano così le caratteristiche di un mondo fatto di ricchezza senza nazioni e nazioni senza ricchezza. La seconda dimensione del problema è di carattere filosofico. La perdita progressiva di radici spirituali e di un allenamento alle virtù del dono, della reciprocità e della cooperazione rischia di portare le nostre società verso l’equilibrio hobbesiano del 'tutti contro tutti' che crea una società di individui soli, tristi e rancorosi che non desiderano altro che l’arrivo di un Leviatano, di un uomo forte che mantenga l’ordine ed eviti il caos. L’alternativa, molto migliore, di una società generativa, felice e ricca di senso, dove le persone si allenano per essere 'animali sociali' appare a molti fuori portata. Se il problema è questo, ed è più profondo, e ha due dimensioni, le risposte sono naturalmente molto più articolate e complesse della presunta magica soluzione dell’uscita dalla Ue e dall’euro.

Il contrasto alla corsa al ribasso è possibile mettendo assieme tre risposte fondamentali. Una misura come la Carbon Border Tax prefigurata nel piano del Green New Deal appena lanciato dalla presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen che penalizza il dumping ambientale e toglie competitività di prezzo a chi esportare in Europa, facendo impresa in modo ambientalmente non sostenibile per abbassare i propri costi di produzione. Analoga mossa va costruita sul tema dei costi del lavoro con una Dignity of Labor Border Tax che combatta il dumping sociale di chi esporta verso di noi abbassando i costi di produzione attraverso lo sfruttamento del lavoro. Questo secondo passo più delicato deve ovviamente tener conto delle differenze di costi della vita e di potere d’acquisto tra Paesi, ma definire una soglia di dignità del lavoro in ciascun Paese è tecnicamente realizzabile con le informazioni e i dati oggi a disposizione. Infine, sono fondamentali misure come la Web Tax in grado di contrastare l’elusione fiscale di giganti che fanno enormi fatturati nei nostri Paesi e poi spostano gli utili in paradisi fiscali.

La minaccia del presidente Trump di difendere i giganti Usa del digitale e di rispondere con dazi ai primi tentativi di Web Tax di Italia e Francia è la dimostrazione plastica che la scala europea è fondamentale per sperare che misure del genere, le uniche veramente in grado di risolvere il problema alla radice, possano essere sostenute da un potere contrattuale forte a livello globale e avere una minima possibilità di successo. A queste misure è essenziale accompagnare una politica fiscale europea più coraggiosa visto che la politica monetaria della Bce sta facendo il massimo possibile. Il Green New Deal presentato dalla Von der Leyen è da questo punto di vista un’occasione che non possiamo perdere. Neanche la soluzione del problema sulla seconda dimensione – la crisi del senso del vivere – passa in qualche modo attraverso la lotta contro la Ue. La risposta migliore sta nell’elaborazione di una visione politica nuova che sta già emergendo dalle buone pratiche e dai laboratori in molti territori, anche del nostro Paese. Una visione alta eppure concreta dove la rivoluzione dell’economia civile e della generatività fa crescere un albero con radici profonde nella nostra storia e con chiome alla frontiera del futuro. La via è essere capaci di coniugare risposte efficienti ai bisogni e alle proposte di senso.