Opinioni

Un Paese chiave sullo scacchiere mediorientale. Il bivio della nuova Arabia (che cerca anche la Bomba)

Federica Zoja giovedì 16 luglio 2015
A sei mesi dal decesso del sovrano 90enne Abdullah, re di Arabia Saudita per dieci anni, il regno campione dell’islam sunnita fronteggia l’aggressività di nuovi e vecchi nemici. Uno scenario geopolitico inedito mette in difficoltà il nuovo monarca, Salman bin Abd al-Aziz al-Saud, più giovane del predecessore, suo fratellastro, di dieci anni. Nel terreno sunnita affondano le radici gli attentati terroristici verificatisi nei pressi di due moschee sciite a fine maggio e rivendicati dal sedicente Stato islamico (Is): in Arabia Saudita, l’organizzazione islamista armata punta a esasperare le già esistenti tensioni fra sunniti e sciiti, isolati e discriminati, e a colpire un casato considerato corrotto. La miccia dei nuovi jihadisti giunge in un contesto già predisposto all’incendio: nel vicino Yemen infuria il conflitto civile fra forze governative di Sanaa e ribelli Houthi, sciiti. Il legittimo presidente, Abd Rabbo Mansur Hadi, fuggito dalla capitale e pure da Aden, dove aveva trovato rifugio in primavera, è ospite dei Saud a Riad. Una coalizione di alleati sunniti ne sostiene il ritorno con raid aerei, truppe di terra sul confine e supporto navale. Quanto agli Houthi, sostenuti dall’ex presidente esautorato Saleh, essi sono politicamente appoggiati da Teheran, ma non ci sono prove di un coinvolgimento militare del gigante sciita. Per la Repubblica islamica, infatti, il compimento positivo dell’accordo quadro sul nucleare, giunto martedì dopo una lunga maratona negoziale, non può essere messo a rischio: è decisivo per rilanciare l’economia, facendo uscire il Paese dall’isolamento. Tre rimpasti di governo e svariati abboccamenti diplomatici tradiscono il nervosismo dei Saud, così alle stelle, registra la stampa regionale, da riportare in auge un vecchio leit-motiv: l’atomica militare. Arginare le ambizioni del Califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, Is appunto (Daesh in arabo), e frenare Teheran, ora riabilitata politicamente su scala mondiale, è prioritario per la sicurezza del Regno, fondato nel 1932 dal sultano Abd al-Aziz al-Saud: non è la prima volta che il Pakistan offre conoscenze e strutture nucleari a Riad e se anche un accordo fosse raggiunto – indiscrezioni lo danno già per definito –, i tempi di realizzazione sarebbero lunghi e incerti. L’esigenza di fermezza si riflette nelle mosse del re in questo primo semestre. Nella cornice di una macro-architettura istituzionale rigida, si registrano novità di rilievo, come la nomina a principe ereditario di Mohammed bin Nayef, nipote del sovrano, al posto del cugino ultra-settantenne Muqrin: con Mohammed, appena 56enne, la linea ereditaria dei figli di Abd al-Aziz al-Saud va in pensione. Ma soprattutto, il Principe della Corona, anche ministro dell’Interno, è un falco dell’antiterrorismo: per il suo impegno contro al-Qaeda è stato vittima di molteplici tentativi di omicidio. I mandanti potrebbero essere vicini: non tutti i rami della famiglia reale sono contrari all’integralismo armato. Lo 'svecchiamento' del vertice non deve trarre in inganno: re Salman non ha mai mostrato interesse per concetti quali pluralismo politico, democratizzazione, dialogo sociale. Ieri come oggi, fra scudisciate e decapitazioni in piazza, l’immagine del Regno dei Saud nel mondo non migliora. Il nuovo sovrano, però, ha concesso alle donne di votare e candidarsi nelle elezioni comunali di novembre, le uniche esistenti. Inoltre, ad alcuni giovani trovati dalla polizia mentre ballavano in modo sconveniente le autorità hanno inflitto pene 'riabilitative' e non corporali: scavare tombe nei cimiteri, per i maschi, volontariato presso case di cura, per le femmine. Qualcosa, insomma, si sta muovendo anche nei deserti politici arabi. Come governatore della capitale per 49 anni, poi, Salman ha investito sullo sviluppo economico della città, lavorando per darle – e dare a se stesso – un profilo internazionale: negli anni, Riad si è trasformata da centro urbano scarno e impolverato a metropoli tutta grattacieli e fast-food, ospite di un carosello di consessi politici di rilievo mondiale.  Ci sono anche i progetti infrastrutturali decentrati, come quello a Diriya, la località in cui Mohammed ibn al-Wahhab (1703-1792), fondatore del Wahhabismo, corrente interpretativa del Corano in chiave purista, incontrò, 'sposandola', la tribù dei Saud, poi diventati re di Arabia Saudita. Per celebrare il trionfo di quel matrimonio politico-religioso, re Salman ha deciso di finanziarvi un progetto: musei, parchi di divertimento, centri commerciali, ristoranti, fondazioni nasceranno nei prossimi due anni. L’obiettivo è quello di rinforzare il prestigio del casato, come se altra Storia non esistesse. Salman è considerato anche la mente della modernizzazione urbana della Mecca, città meta di milioni di pellegrini musulmani: edifici storici di secoli stanno lasciando spazio a grattacieli e centri commerciali. I commentatori più critici la chiamano Mecca-hattan. Ora, da monarca, l’orientamento pare grosso modo questo: sì alle tradizioni, ma efficienti e 'ringiovanite'. Nell’arco di un trimestre, il figlio Mohammed, 30 anni e un curriculum da giurista, è diventato ministro della Difesa (tra i più giovani al mondo), secondo vice primo ministro, segretario della Corte reale, presidente del Consiglio per gli Affari economici. Il primo incarico era detenuto in precedenza dal padre, che le male lingue dicono occuparlo ancora de facto. L’ultima poltrona, poi, è stata creata ad hoc una volta smantellata la Corte economica suprema. Mohammed è anche vice Principe della Corona, un gradino al di sotto del cugino Mohammed bin Nayef. La prova del fuoco del neoministro della Difesa è l’operazione militare in Yemen, 'Tempesta decisiva', ufficialmente da lui stesso concepita nell’aprile di quest’anno.  I cambiamenti al ministero degli Esteri erano attesi: andato in pensione Saud al-Faisal (75enne, figlio di re Faisal, è deceduto all’inizio di luglio), dal 1975 in carica, il nuovo titolare è Adel al-Jubeir, ex ambasciatore saudita negli Stati Uniti. Così l’asse con Washington resiste, anche se la svolta dell’avvicinamento fra Casa Bianca e Teheran mette a dura prova il cuore di Riad: sa di ripicca l’accordo siglato il 7 luglio con Mosca per 10 miliardi di dollari di investimenti sauditi sul territorio russo. Sempre in ambito diplomatico, l’Arabia Saudita ha nominato Thamer al-Sahan ambasciatore in Iraq a 25 anni dalla chiusura dell’ambasciata di Baghdad, in seguito all’invasione del Kuwait da parte di Saddam Hussein. Un piccolo seme di unità transnazionale contro il terrorismo e una mossa strategica sempre in funzione anti-iraniana. Si ricordi che con l’Iran, l’Arabia Saudita combatte anche una guerra sul mercato del petrolio, per produzione e prezzi. A Ovest, intanto, l’ombra araba si allarga sempre più sull’Egitto: circa il 30% degli investimenti panarabi nel Paese è saudita, per un totale di 5,7 miliardi di dollari. Ma chi ha davvero bisogno di chi? Il Cairo è in prima linea nell’operazione congiunta in Yemen, è allineato con Riad contro il regime di Damasco, alauita sciita, e affronta l’aggressione di Is e gruppi affiliati con determinazione. E soprattutto, con Abdel Fatah al-Sisi presidente, non c’è spazio per influenze iraniane all’ombra delle Piramidi.