La necessaria giusta rotta. Governo politico e società generativa
Esiste un orizzonte sociale ideale verso cui muovere, dal quale con la nuova situazione politica italiana non dobbiamo correre il rischio di allontanarci pericolosamente. In un’ottica di ben-vivere vorremmo delle società dove tutti i cittadini possano essere generativi coerentemente con il grande ideale dell’art. 3 della Costituzione che parla di bene comune e di rimozione degli ostacoli alla piena realizzazione della persona.
La generatività dipende dalla concomitanza di tre fattori. Il primo riguarda le potenzialità personali (il nobel Amarthya Sen le chiamerebbe capabilities) rappresentate essenzialmente da capacità reddituale, salute e istruzione. Il secondo è identificabile nelle condizioni sociali che rendono possibile la generatività personale (libertà di iniziativa, assenza di lacci e lacciuoli) e dunque riguarda molte variabili relative alla qualità del sistema Paese (burocrazia, giustizia civile, pari opportunità). Il terzo – e decisivo – è la generatività in atto, ovvero la capacità delle persone di tradurre queste potenzialità personali e sociali in una realizzazione di vita dove il nostro essere e agire contribuisce positivamente alla vita degli altri realizzando anche la nostra (creare famiglie e relazioni stabili di successo, imprese, organizzazioni sociali, partecipare e assumere responsabilità nella vita associativa, politica, religiosa).
Nella società globale ai tempi della rivoluzione digitale accanto a opportunità enormi esistono formidabili ostacoli e insidie alla generatività. Se consideriamo la popolazione sotto la soglia di povertà, l’area ancora più vasta che include il lavoro precario, in nero e sottopagato e se mettiamo in conto i limiti del sistema Paese e la presenza della criminalità organizzata, gli italiani che possono vivere una condizione di piena generatività non sono certo la totalità (né la maggioranza) della popolazione. In un recente rapporto della Fondazione Hume si parlava di un terzo di cittadini in età da lavoro con occupazione stabile, contro due terzi che si battono tra disoccupazione, mancata partecipazione o lavoro precario o a forte rischio.
Tutto questo ha prodotto una domanda politica di rendita pubblica nelle regioni del Sud dove la disoccupazione morde di più e una domanda di liberazione dagli ostacoli sociali alla generatività (meno tasse, sistema Paese più efficiente) nelle regioni del Nord dove il problema è la difficoltà di vita e sopravvivenza della piccola impresa. Il rischio enorme che stiamo correndo è che questa domanda di liberazione si traduca in realtà in una doppia droga che uccide ancor più le prospettive di generatività futura.
Sul primo fronte (il reddito di cittadinanza) la rete di protezione degli ultimi, se non è effettivamente finalizzata all’inclusione sociale e lavorativa rischia di diventare l’«oppio dei poveri», qualcosa che, nei casi peggiori, alimenta passività e dipendenze. Il padre conciliare Jean Danielou diceva paradossalmente «se ami qualcuno chiedigli qualcosa in cambio», perché dignità e realizzazione personale dipendono dalla propria capacità di dare agli altri e non dal ricevere un obolo. Sul secondo fronte la liberazione macroeconomica dai vincoli comunitari europei che alcuni evocano illude che basti stampare moneta per risolvere i nostri problemi e rischia di precipitarci in un mondo che avevamo abbandonato, fatto di svalutazioni, inflazione e ripetute crisi finanziarie.
La storia economica è piena di Paesi sovrani che vanno oltre le proprie possibilità, precipitano in crisi finanziarie e hanno bisogno di salvataggi internazionali. I saggi e misuratissimi colpi di freno e di volante di questi giorni del presidente Mattarella sono dipesi dalla preoccupazione di evitare errori che potrebbero innescare una deriva argentino-venezuelana che precipiterebbe l’Italia in un eterno conflitto tra partigiani dell’ultraliberismo e “peronisti”. Per questi motivi mai come oggi è opportuno ribadire con forza le ragioni dell’ideale di una società pienamente generativa promuovendo con forza politiche che garantiscano le condizioni personali e sociali di questa condizione, ma tenendo la barra dritta verso gli elementi che consentono di porla in atto concretamente.
Opportunità per creare famiglie e relazioni sociali stabili, partecipazione politica e associativa, creazione di impresa e organizzazione sociale sono dunque gli obiettivi ultimi che le politiche economiche devono perseguire evitando di cadere nella tentazione (o illusione o incubo) di società fatte di cittadini passivi che vivono della dipendenza da sussidi e illusioni di pietre filosofali macroeconomiche.