Opinioni

Bruxelles. La mossa del cavallo per Meloni in Europa (e Italia)

Francesco Riccardi martedì 9 luglio 2024

L’occasione che si presenta a Giorgia Meloni in questi giorni è quella di sfruttare un contropiede, smarcarsi e segnare un gol, forse arrivare a vincere la partita. Ma, visti gli scarsi risultati della Nazionale, è meglio cambiare metafora e usare quella più appropriata della “mossa del cavallo”. Utilizzare, come fa il pezzo degli scacchi, la possibilità di muoversi in avanti e insieme scartare di lato per meglio posizionarsi strategicamente. Per sé, ma anche per il Governo e il Paese.


I risultati delle elezioni francesi, con il prevalere al secondo turno del composito fronte delle sinistre, e in contemporanea i movimenti nei gruppi europei, con la nascita alla destra estrema del cartello dei Patrioti, rischiano infatti di chiudere in un angolo la premier e il raggruppamento dei conservatori (Ecr) del quale è la leader. L’adesione degli spagnoli di Vox (prima in Ecr), dei francesi di Rassemblement national e dei leghisti capitanati dal generale Vannacci hanno gonfiato la nuova squadra, creata dal presidente ungherese Orbán, sino a farla diventare il terzo gruppo nel Parlamento europeo per numero di deputati, sovrastando nettamente i conservatori alla loro destra. I Patrioti saranno pure “irrilevanti” ai fini della formazione della maggioranza a Strasburgo - come tiene a ribadire il leader di Forza Italia Antonio Tajani - ma il loro peso si farà certamente sentire nelle votazioni d’aula durante il prossimo quinquennio e costringe la (futura) maggioranza costituita da Popolari, Socialisti e Liberali a cercare quantomeno appoggi esterni in caso di bisogno in futuro e nell’immediato per una più larga conferma di Ursula von der Leyen alla guida della nuova Commissione. Ed è qui che Giorgia Meloni può giocare non solo un ruolo, ma cogliere l’occasione per smarcarsi e compiere un passo in avanti riposizionando Fratelli d’Italia a fianco del Ppe, se non addirittura pienamente al suo interno in un prossimo futuro.


Una tale mossa del cavallo da parte di Meloni porrebbe il nostro Paese in una posizione privilegiata nelle trattative in sede Ue (condizione sempre utile viste le nostre debolezze in materia di bilancio), ma soprattutto segnerebbe una nuova tappa assai significativa nell’evoluzione di Fratelli d’Italia da forza di destra-destra, che restò all’opposizione pure del governo tecnico di Mario Draghi, a partito pienamente di centro-destra. Un appoggio esterno alla nuova Commissione, o addirittura il possibile ingresso nel Ppe, potrebbe infatti accentuare il profilo popolare – e non populista – di FdI, rivalorizzare la sua natura originaria di movimento attento ai ceti popolari, capace contemporaneamente da un lato di confrontarsi e collaborare con la sinistra quando si tratta di questioni istituzionali e, dall’altro, di sfidarla con programmi alternativi sul suo terreno privilegiato: quello del lavoro, del sociale, dei diritti, della difesa della vita e dei più deboli. Senza venir meno alla propria identità, anzi affinandola e rafforzandola, un appoggio alla nuova Commissione europea - comune tra FdI a fianco dei (o nei) Popolari e del Pd nei Socialisti - favorirebbe un confronto più pacato e proficuo per entrambe le forze politiche anche in Italia. Con l’auspicabile corollario di riforme – dal premierato all’Autonomia differenziata fino alla nuova legge elettorale – sulle quali trovare obiettivi condivisi e ragionevoli compromessi per scongiurare prove muscolari, spaccature nel Paese e referendum dagli esiti incerti per ambedue i fronti.


Non solo: rapporti più distesi e collaborativi permetterebbero a Giorgia Meloni di evitare sterili chiusure su questioni come il salario minimo legale, sul quale alcune limitate sperimentazioni potrebbero essere utili, o il ridisegno delle misure di contrasto alla povertà che – come dimostrano i dati diffusi ieri dall’Inps – lasciano scoperti quasi i tre quarti dei 5,7 milioni di poveri assoluti nel nostro Paese, un enorme “buco nero”. Trovando un terreno comune per la riforma del fisco, continuando a privilegiare le famiglie e i redditi più bassi anziché quelli più alti. Evitando a FdI di essere percepito, invece, come il partito che difende solo lobby settoriali come i tassisti e i balneari, premia i piccoli evasori ed è indulgente verso quegli imprenditori che ricorrono al “nero”, mentre mostra una faccia feroce solo con chi rischia di annegare nel Mediterraneo. Infine, accompagnando definitivamente alla porta chi si attarda in nostalgie o, peggio, dimostra idee antisemite (atteggiamenti molto presenti anche fra i militanti di altri schieramenti politici).
In questi giorni fervono le trattative tra le capitali europee e Bruxelles in vista dell’insediamento del Parlamento il 18 luglio e la prima votazione sulla presidenza della Commissione. Giorgia Meloni non ha bisogno di consigli peraltro non richiesti, ma certo la partita in Europa come in Italia va ben al di là della nomina di un commissario o delle deleghe di una vicepresidenza. E una mossa spiazzante, due passi avanti e uno di lato come quelli del cavallo, potrebbe giovare non solo a lei.