Opinioni

Il direttore risponde. La «morbida assuefazione» all’aborto e la lotta per far finire l’ingiustizia

Marco Tarquinio giovedì 5 maggio 2016

Caro direttore, bella la lettera di Enzo Bernasconi che evidenzia come quanto successo secondo una scottante inchiesta agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria (gravissimi errori medici, omertà, moltiplicazione di aborti) è uno scandalo che si somma a quello enorme dell’aborto legalizzato in Italia. Siamo a quota 6 milioni. Cifre da «autogenocidio» come si disse (dopo) Pol Pot in Cambogia e come avvenne e avviene (anche se incominciano ad accorgersene) in Cina. L’enormità di queste cifre a livello mondiale oscura quanto fecero Hitler e Stalin, e il guaio è che in Paesi sedicenti democratici ciò avviene con morbida assuefazione, ma, pare che per presunta pace si debba tacere e a chi ci pensa si dice di non farsene una ossessione. Io, direttore, questa ossessione ce l’ho e non so se devo consultare uno psichiatra... Temo che siamo rimasti in pochi, come i ragazzi della Rosa Bianca.

 
Silvio Ghielmi - Milano

  Penso, caro dottor Ghielmi, che non siamo “ossessionati” e neppure necessariamente in “pochi”. Tante donne e tanti uomini, di diversi Paesi e di diversa fede e cultura, hanno consapevolezza della tragedia dell’aborto. Sanno che è usato infinite volte, come brutale strumento di controllo delle nascite e di selezione di (presunti) “perfetti”, gli unici degni di venire al mondo. Bisogna far crescere questa consapevolezza. Resistendo alla tentazione di darci ingiustamente pace per l’ingiustizia. Chinandoci a sollevare ogni persona caduta. Battendoci «con amore» – come ci chiede papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali 2016 – per cercare di vedere e riconoscere la verità e per aiutare altri a vederla e a riconoscerla. È, questa, la misericordia. Antidoto all’indifferenza, e a ogni assuefazione. Condizione di umanità per tutti, comunque la pensino e comunque credano. Cuore di Dio, misura di Cristo, via maestra per chi accoglie il Vangelo. «La parola del cristiano – dice ancora il Papa – (...), anche quando deve condannare con fermezza il male, cerca di non spezzare mai la relazione e la comunicazione». Un modello di travolgente forza, in questo senso, è Madre Teresa di Calcutta, oggi beata e presto santa, che – ricevendo il premio Nobel – seppe vedere e dire al mondo che «il più grande distruttore della pace è l’aborto» e per tutta la vita con dolore e semplicità continuò a pregare sorridendo chi non sapeva e non voleva accogliere la vita nascente: «Dateli a me, dateli a me». Lei, gentile e caro amico, evoca infine i «ragazzi della Rosa Bianca» che nella Germania nazista sfidarono, da cristiani, il pensiero dominante del proprio tempo e la disumanità eretta a sistema. Li considero anch’io, da sempre, tra gli esempi mobilitanti per la vita di chiunque abbia chiaro che cosa valga davvero. E non penso mai a loro come “pochi”. Penso a loro come persone giovani e coraggiose, coerenti e lucide, dallo sguardo lungo e così “innamorato” da dimenticare scoramenti e paure. Sono la dimostrazione che il seme buono nel tempo porta sempre frutto. E che non bisogna disperare, mai.