Editoriale. La "missione" di essere comunità educante digitale
Il sostegno esplicito di Elon Musk al partito di estrema destra tedesco Afd in vista delle prossime elezioni segnala quanto i luoghi del dibattito e della formazione delle preferenze siano profondamente cambiati. La generazione dei nostri padri ha costruito la sua partecipazione politica tra sezioni di partito, parrocchie e tribune elettorali dove lo scambio avveniva in modo trasparente tra gruppi con identità e ruoli ben identificabili. Siamo ancora in quel mondo quando, andando in edicola o navigando nel digitale, scegliamo un quotidiano conoscendone visione e pensiero.
L’irruzione dei social media e dell’intelligenza artificiale ha certo reso molto più presente e interattivo quel villaggio globale salutato da McLuhan con l’avvento della televisione e prefigurato da Teihllard de Chardin con l’immagine della Noosfera; ma ha pure aumentato - e di molto - il rischio di “allucinazioni”, fake news e manipolazioni.
Sui social media non siamo solo telespettatori passivi: siamo tutti potenzialmente protagonisti, attivisti, editori. Possiamo trasmettere in tempo reale il nostro messaggio come in uno Speaker’s corner globale, reagiamo in tempo reale a quello che gli altri scrivono e dicono, siamo informati immediatamente su quanto accade nel mondo, possiamo commentare e condividere notizie. Ci imbattiamo insomma in una miniera di sollecitazioni. Su queste piattaforme siamo soggetti a due fenomeni opposti: il senso di condivisione e accordo con chi la pensa come noi, ma anche lo scontro con chi ragiona in modo radicalmente diverso e che potrebbe allenare le nostre capacità di comunicazione. Purtroppo, come tutti sappiamo, non si tratta di un mondo ideale: la piattaforma è un’impresa, e l’interesse di chi la gestisce è massimizzare il traffico per aumentare gli introiti pubblicitari. E il traffico aumenta di più con lo scontro. C’è poi la questione fondamentale degli algoritmi che governano i meccanismi di prioritizzazione dei messaggi: quando apriamo l’app, spesso non ci rendiamo conto che c’è qualcuno che fa “la prima pagina” e decide cosa farci vedere subito tra le miriadi di informazioni generate nel mondo in quel momento. É dimostrato da diversi studi scientifici che i social media hanno aumentato per i motivi suddetti la polarizzazione e lo scontro delle idee politiche. Ai social si aggiunge ora il ruolo, anch’esso poco visibile, dell’intelligenza artificiale.
Di fronte a questi pericoli per la nostra democrazia, la prima cosa da fare è diffondere consapevolezza su limiti e possibili distorsioni dell’interazione digitale e fare appello a una nuova missione: quella di essere comunità educante digitale. La seconda è aumentare il livello d’istruzione obbligatoria in un Paese in cui gli ultimi dati segnalano che un terzo della popolazione è affetta da analfabetismo di ritorno, e quindi in grado di attivare solo o prevalentemente decisioni emotive e non razionali, come spiegherebbe il Nobel Kahneman.
La terza urgenza è combattere i monopoli, soprattutto nel campo dei social, dove è più difficile la concorrenza. Se in un determinato ambito (social media, posta elettronica) la stragrande maggioranza delle persone si abitua a usare un certo spazio per comunicare, si crea di fatto un monopolio. Perché è molto difficile per un potenziale concorrente - anche con un prodotto migliore - competere. Si tratterebbe infatti di convincere i cittadini a trasmigrare nel nuovo spazio col rischio di trovarsi soli, di perdere le proprie abitudini e di non beneficiare di tutte quelle relazioni a disposizione nello spazio originario.
Per questi motivi il monopolio di Twitter (ora X) sembrava inattaccabile. In realtà la nascita e la crescita di Thread e di Bluesky dimostra che non è così. Nel primo caso (Thread) a colmare lo vantaggio è stato il creatore di un altro popolarissimo social come Instagram, entrato nella galassia Meta (la società del fondatore di Facebook Zuckenberg) che aveva già un suo network, ma non una piattaforma social tipo X. Nel secondo caso (Bluesky), il concorrente ha creato una piattaforma gemella con caratteristiche del tutto simili - che dunque consentono a chi arriva a trovarsi immediatamente a proprio agio - e gli afflussi sono improvvisamente saliti dopo l’elezione di Trump. La quarta e ultima questione è quella delle proposte di regolamentazione. I singoli Stati procedono in ordine sparso, con iniziative anche drastiche come il divieto dei social per i minori di 16 anni in Australia.
Su questo fronte sarebbe forte la tentazione di limitare la partecipazione solo a chi ci mette “la faccia”, con un nome e cognome e un’identità ben precisa. Ma ciò limiterebbe il traffico della piattaforma e impedirebbe l’utilizzo di pseudonimi che per taluni aspetti sono anche uno strumento di libertà.
L’agorà in cui si formeranno preferenze e si svolgerà il dibattito politico del futuro presenta dunque enormi potenzialità ma altrettanti rischi. Imparare a conoscerli è il primo passo per realizzare le prime e schivare i secondi. Evitando la tentazione di ritirarsi perché, come detto, il primo passo è diventare una comunità educante digitale e incontrare le persone laddove si trovano.