Nuovo nome a malattie «intitolate» a medici nazisti. Apartire dalla metà del secolo scorso la medicina si è rinnovata radicalmente. Non solo per l’enorme quantità di conoscenze acquisite, ma grazie anche al nuovo spirito critico e alla maggiore sensibilità etica che hanno incominciato a caratterizzarla. In questa prospettiva si pone il convegno organizzato all’Università La Sapienza di Roma dalla Comunità ebraica per dare inizio a una campagna mondiale intesa a cancellare dalla letteratura scientifica e dalla nosologia medica i nomi dei medici nazisti, che, con i loro barbari esperimenti nei lager tedeschi, hanno scritto una pagina vergognosa della 'ricerca' sanitaria del secolo scorso. È una svolta epocale. Sono decine le malattie che vengono ancora oggi designate con il nome di medici nazisti che le hanno descritte in seguito alle «osservazioni scientifiche» effettuate sui prigionieri dei campi di concentramento. Come la 'sindrome di Reiter', un’artrite legata a un’infiammazione del connettivo scatenata da infezioni batteriche, descritta proprio come conseguenza delle numerose infezioni che colpivano gli internati, o la 'granulomatosi di Wegener', una malattia delle vie aeree studiata da colui che selezionava i destinati alla camera a gas nel ghetto di Lodz, o ancora il 'test di Clauberg' per misurare l’azione del progesterone utilizzato da chi si sottopone a fecondazione artificiale, messo a punto dal ginecologo sulle internate di Koninsberg. Condannati come criminali di guerra nella aule di giustizia, i loro nomi risuonano ancora senza alcuna remora nelle aule universitarie delle facoltà mediche e l’utilizzo delle loro ricerche spesso non pone alcun imbarazzo alla comunità scientifica. Una condizione insostenibile, che richiede un’operazione di pulizia morale che non può più essere procrastinata. «Io stesso – ha ricordato Riccardo Di Segni, medico e rabbino capo della comunità ebraica di Roma, uno degli ideatori e dei relatori del convegno romano – ho studiato per decenni alcune malattie senza sapere che portavano il nome di criminali nazisti». L’abitudine dell’uso degli eponimi (cioè di chiamare alcune malattie con il nome del loro scopritore) era tipico della medicina di fine Ottocento e di inizio Novecento. Basta pensare ad esempio a patologie individuate in quei decenni, come la malattia di Alzheimer o il morbo di Parkinson, tanto per citare due condizioni oggi ben conosciute e diffuse. Questa consuetudine oggi è meno frequente, anche perché spesso l’individuazione di nuove condizioni patologiche è più il risultato di un lavoro di équipe piuttosto che dell’osservazione di un singolo. Tuttavia nel sano lavoro di revisione critica che la storia della medicina oggi è portata a compiere, grazie a quella nuova sensibilità etica alla quale si è prima accennato, il problema degli eponimi legati ai medici nazisti è di fondamentale importanza. Anche a favore delle giovani generazioni di medici che, nel loro processo di formazione universitaria, rischiano di non avere coscienza dei crimini compiuti nel recente passato da alcuni loro colleghi legati al nazismo e al fascismo. Serve un accordo internazionale per cancellare questi nomi e designare in modo diverso, nell’ambito della nosografia medica, queste condizioni patologiche. Un gesto di altissimo valore etico. «L’Università La Sapienza – ha annunciato il rettore, Eugenio Gaudio – si farà promotrice ufficialmente di una mozione, che verrà inviata a tutte le società scientifiche internazionali, intesa a cancellare in modo definitivo le definizioni con i nomi dei medici nazisti che hanno legato al nome di una malattia il proprio cognome». La proposta, illustrata nel dettaglio dallo storico della medicina Gilberto Corbellini, mira a una bonifica radicale in chiave etica delle nomenclatura medica. «Un futuro di collaborazione internazionale tra ricerca e memoria è la base da cui partire», gli fa eco Cesare Efrati dell’Ospedale Israelitico di Roma. Ricordare e cancellare (senza rimuoverne la memoria) una pagina così vergognosa della storia umana è il metodo migliore per riscrivere in modo degno il lungo cammino della medicina al servizio dell’uomo.