Lettere. La malattia e quella normalità tutta da riscoprire che dà speranza
Caro Avvenire,
è come se all’improvviso il movimento della mia vita avesse ricevuto uno stop. Capita no? Nei film, un fermo immagine... Così è stato. Quella diagnosi: carcinoma. Poi, la vita ha ripreso ad andare e mi sono guardata lentamente intorno: la stessa realtà, la stessa! Ma era cambiata! Perché tante corse, perché tanti lamenti? Io lo so che ho uno scampolo di vita davanti, ma voglio, finché posso (se il ragno non ha già figliato da qualche parte) viverlo in modo diverso. Le singole cose, i singoli gesti, le stesse persone che davo ormai per scontati nella mia vita ed erano diventati come i soprammobili, che a un certo punto sono parte integrante della tappezzeria e non li vedi più, si sono come ri-materializzati e hanno ottenuto dal mio nuovo punto di vista un enorme valore aggiunto. Per esempio: la spesa! Ma quante volte l’ho odiata? E di corsa... e incastrata tra un impegno e l’altro... e solo poche cose... ed esci con delle borse pesantissime… e poi ti dimentichi qualcosa di importante… Beh, ora mi manca! Sì, è vero! Ma prova a scrivere per mesi e mesi la nota della spesa da far fare a qualcun altro (a un marito che non è pratico dei supermercati). Quando sei inappetente, con la bocca acida, e devi mettere insieme un pasto per due uomini che mangiano come lupi! Se non vai a fare la spesa ti manca l’ispirazione dei prodotti esposti, la tua creatività è bloccata, non ti viene in mente che ti occorre il tale ingrediente, vedendolo. Soprattutto non condividi con le altre persone un compito sì faticoso ma normale, perché tu in quel momento con il carrello sei normale! Circondata da altre persone, sei in mezzo alle persone! È un punto di incontro, perché puoi trovare una persona che conosci e scambiare due parole o conoscere qualcuno di nuovo con cui magari arrivare a scambiarsi velocemente una ricetta. È difficile metterlo in parole: è il circolo della affettività, dell’umanità. Questa esperienza mi ha chiaramente fatto conoscere, confermare o riscoprire il bene di chi mi circonda. Ed è quell’alone di affetto e di sostegno che avverti intorno a te che ti dà la forza di accettare ciò che ti è caduto addosso, stordendoti. Questo affetto ti dà il richiamo della normalità, ti dà speranza, la carica per credere nel domani anche quando le forze e l’aspetto fisico deturpato ti fanno sentire uno straccio, ti fanno rannicchiare in un angolo, ti fanno sentire un alieno, lontano dal mondo reale. Ho scoperto anche che per i miei figli non ero invisibile come credevo! Si sono dimostrati teneri e attenti, mi hanno dato carezze e abbracci che non credevo di poter ricevere più. Mio marito mi fa trovare al mattino la tazzina per il mio caffè sul tavolo. Vuota. Ma è un gesto d’affetto aggiunto. Per come è fatto lui... Soprattutto mi ha sempre accompagnato alle visite, ai controlli, alle chemio con la levataccia alle sei, lui che ama far tardi a letto al mattino. Senza mai lamentarsi. Nessuna parola, ma gesti che parlano.