Vite umane. La lotta contro il Covid. La resa all'aborto chimico
Caro direttore, mentre il ministro della Salute, annunciando le nuove linee guida sulla Ru486, parlava di «un passo avanti importante», ripensavo alle lapidarie parole di Madre Teresa, premiata con il Nobel nel 1979: «L’aborto è il più grande distruttore della pace oggi». L’estensione dell’utilizzo della pillola abortiva alla nona settimana di gravidanza e al regime ambulatoriale o di day hospital e persino nei consultori rende sempre più accessibile l’aborto che lei definiva «una guerra diretta»: «Perché se una madre può uccidere il proprio stesso bambino, cosa mi impedisce di uccidere te e a te di uccidere me? Nulla».
Non si può certo dire che la Santa di Calcutta fosse insensibile alla povertà, alla disperazione e alla solitudine, a promuovere la dignità della donna e della famiglia e la responsabilità procreativa. Non si può dire che le sue fossero parole di chi giudica il prossimo senza misericordia e chiude la porta a chi ha sbagliato, senza adoperarsi instancabilmente per rimuovere le cause remote e prossime dell’aborto, spesso sostituendosi al compito dei governanti in Nazioni povere quanto in Paesi ricchi, governi impregnati delle ideologie di moda, che si fregiano di assicurare 'diritti civili' ma abdicano al dovere di difendere il diritto alla vita di tutti i cittadini: dal bimbo nel grembo materno da aiutare a vivere, al malato da accompagnare a morire... Lei, la piccola grande donna che lo definiva «il più povero tra i poveri», proteggeva ogni bambino non nato e raccoglieva i poveri scarti umani abbandonati sulle strade, forse solo per farli morire con la dignità della pulizia, della compagnia, della preghiera.
Non c’è dubbio che l’aborto sia un dramma. Ma, se questo è vero, è giusto trovare ogni modo per facilitarlo – anche a costo di mettere a rischio, con procedure come la Ru486, la salute e la vita della madre oltre a quella del figlio – o non piuttosto cercare tutte le vie per combatterlo? «Restituiteci i bambini», gridava a Oslo Madre Teresa, «per favore, non distruggeteli »! E, se fossero di peso alla donna, alla famiglia, ai governi, «li prenderemo noi», assicurava, suggerendo di combattere l’aborto con la «cura delle ragazze madri» e delle donne in difficoltà, «con le adozioni» e con l’insegnamento dei «metodi naturali di pianificazione familiare», per promuovere l’«amore reciproco senza distruggere la vita che Dio ha creato in noi». Non sarà dunque tutto questo che va facilitato e incoraggiato?
E non sarà necessario indignarsi anche per queste nuove indicazioni e riaffermare che ogni essere umano, dal primo istante nel concepimento fino all’ultimo respiro di vita, non appartiene a nessuno, neppure alla sua stessa autodeterminazione, ma è affidato alla responsabilità di tutti: famiglia, società, Sato, Chiesa? Molte testimonianze, grazie soprattutto alle pagine di Avvenire, in questi giorni, fanno emergere il "dramma nel dramma" di donne che hanno fatto uso della Ru486; e molti osservano come le linee guida del ministro della Salute riconsegnino la donna a quella solitudine dell’aborto che la legge 194 voleva contrastare, proprio mentre è ancora viva la ferita delle morti in solitudine cui il Covid-19 ha condannato tante vittime.
Neppure l’angoscia dei mesi scorsi sembra aver riportato l’intangibilità della vita umana al centro della politica, dell’economia, della legge, della cultura! Eppure, ha affermato papa Francesco – nel suo recente messaggio al Meeting di Rimini – la pandemia è stata tempo di «stupore che assume la forma della compassione in presenza della sofferenza », per come tanti hanno operato per salvare, curare, supportare ogni vita. «Lo stupore che mette e rimette in moto la vita, consentendole di ripartire in ogni circostanza. È l’atteggiamento da avere perché la vita è un dono». Sì, forse solo lo stupore potrà consentirci di fermarci e rinascere: di contemplare senza distruggere, di rispettare e custodire. Ma lo stupore non si vive, neppure dinanzi alle meraviglie dell’arte e dell’intero Creato, se non ci raggiunge nella bellezza fragile e unica del dono della vita di ogni creatura, di ogni bimbo che, alla nona settimana o al primo istante nel grembo, indica al mondo la via dell’amore, della giustizia, della pace.
Arcivescovo, Ordinario Militare per l’Italia