La lettera 'Desiderio desideravi'. La liturgia è incontro, e ripartenza verso gli altri
La liturgia non è rito fine a se stesso. Né tanto meno esercizio di uno «spiritualismo astratto» , avvolto in un «fumoso senso del mistero». La liturgia fonte e culmine della vita cristiana, così come la definisce il Concilio Vaticano II, è soprattutto sorgente di evangelizzazione, espressione privilegiata – per usare una delle frasi care a Francesco – della Chiesa in uscita. Sta qui il nucleo più fecondo della lettera apostolica Desiderio desideravi che il Papa ha pubblicato ieri. E anche in un certo senso la sua novità per un tempo come il nostro, segnato – lo ricorda lo stesso Pontefice nel documento – dallo «smarrimento della post-modernità, dall’individualismo e dal soggettivismo ».
A quasi sessant’anni dalla Sacrosanctum Concilium, Francesco ci ricorda infatti che la forza propulsiva della liturgia, in ordine all’annuncio della Buona Novella, è una sorta di prova del nove della sua genuinità. «Una celebrazione che non evangelizza non è autentica – scrive infatti nella lettera –, come non lo è un annuncio che non porta all’incontro con il Risorto nella celebrazione: entrambi, poi, senza la testimonianza della carità, sono come bronzo che rimbomba o come cimbalo che strepita». Fonte e culmine, dunque. Ecco spiegata e attualizzata l’affermazione centrale della Costituzione conciliare sulla liturgia. È, manco a dirlo, un’enorme apertura di orizzonti per la missionarietà della Chiesa.
E anche un mostrare quanto in fondo siano di retroguardia le 'battaglie' di alcuni per contrapporre il rito preconciliare a quello scaturito dalla riforma operata dal Concilio Vaticano II. L’invito è piuttosto a prendere il largo, a lasciarsi sommergere dall’«oceano di grazia che inonda ogni celebrazione» e a far sì che quell’oceano, attraverso la nostra testimonianza, rifluisca nella vita di tutti i giorni, dando forma eucaristica alle nostre città e alla società nel suo complesso.
Quello che in sostanza chiede papa Bergoglio è che tra l’aspetto cultuale in senso stretto e l’esistenza quotidiana si stabilisca una circolarità perfetta e feconda. Il sacrificio di Cristo che si celebra nella Messa deve diventare principio di azione nelle realtà feriali. Il lavoro, la famiglia, l’economia, la politica, la cultura, il tempo libero.
Dare forma eucaristica a queste dimensioni significa in sostanza mettersi a servizio, lasciarsi ispirare dall’antropologia cristiana che vede in un ogni uomo un fratello e non un potenziale nemico, prendersi cura degli altri, della cosa pubblica e del creato con la mentalità dei custodi e non degli sfruttatori, non lasciare indietro nessuno, soprattutto i più deboli e gli 'scartati' ma chinarsi sulle loro ferite per fasciarle e per guarirle, promuovere inclusione laddove altri vorrebbero escludere e discriminare, costruire ponti laddove si tenta invece di alzare muri. In una parola «fare la comunione », vera, effettiva, espansiva.
Verso Dio come verso i fratelli, per entrare in dialogo con il mondo. Scriveva già negli anni 80 del Novecento il vescovo don Tonino Bello: «La nostra credibilità di cristiani non ce la giochiamo in base alle genuflessioni davanti all’ostensorio, ma in base all’attenzione che sapremo porre al 'corpo e al sangue' dei giovani drogati, degli sfrattati, dei disoccupati e di tutti i diseredati». In altri termini, aggiungeva, quella credibilità sarà tanto più forte, quanto più sapremo «scorgere il corpo di Cristo nei tabernacoli scomodi della miseria, del bisogno, della sofferenza, della solitudine». Ecco, è su questi temi che il Papa ci invita a riflettere con la sua lettera Desiderio desideravi.
Un esercizio quanto mai opportuno e tempestivo nel periodo in cui la Chiesa italiana si sta preparando a vivere il Congresso eucaristico nazionale di Matera, fissato dal 22 al 25 settembre, come tappa fondamentale del proprio Cammino sinodale. C’è nel titolo di quell’appuntamento una suggestione che ben si coniuga con il documento fresco di pubblicazione: 'Riscopriamo il gusto del pane'. Riscopriamo, si potrebbe dire sul filo della metafora, il gusto di celebrazioni in cui risplende, come scrive Francesco, «lo stupore per il mistero pasquale» (il gusto del pane eucaristico, appunto). E facciamo sì che esse diventino propellente per uscire dal tempio e dare un fondamentale contributo alla costruzione della città dell’uomo in questo cambiamento d’epoca.