Il Ragazzino e il Ciccione. Portavano questi nomi scherzosi le bombe atomiche che colpirono Hiroshima il 6 agosto 1945 e, tre giorni dopo, Nagasaki. Gli ordigni fecero più di 100mila morti, quasi tutti civili, con la sola esplosione e consegnarono il mondo alla consapevolezza che nulla sarebbe stato più come prima. Che quel giorno l’umanità aveva raggiunto il potere di autoeliminarsi dalla faccia della terra. Per questo le settantamila candeline accese nel Parco della pace di Hiroshima, una per ognuna delle vittime cadute settant’anni fa, fanno un poco brillare il cuore di ognuno di noi: il 6 agosto torniamo a capire che "mai più" è un imperativo morale, ma anche una necessità assoluta, se vogliamo che il pianeta abbia un futuro.Proprio per questo è impossibile non notare, e con amarezza, che molti Paesi stanno facendo una netta marcia indietro rispetto al sogno di un mondo libero dalla minaccia atomica e, anche, da quel processo di riduzione drastica degli arsenali che ha comunque prodotto risultati importanti dopo la dissoluzione dell’Urss e per tutti gli anni Novanta. Non dobbiamo sottostimare quel processo. È stato calcolato che dal 1945 al 1990 gli Stati Uniti produssero circa settantamila testate nucleari, spendendo una somma corrispondente a circa 8 trilioni di dollari al cambio attuale. Oggi hanno "solo" 2.100 testate "attive", cioè in teoria pronte per essere usate. E la Russia, che fece sforzi enormi per raggiungerli e superarli, ne ha oggi poche di più.Rimpiangeremo quegli anni Novanta? Forse sì, ed è lo stesso Giappone che piange Hiroshima e Nagasaki a farcelo pensare. Per il terzo anno consecutivo il governo del premier Shinzo Abe ha aumentato il bilancio della Difesa, portandolo alla cifra record di 36 miliardi di euro, e tenta di cambiare la Costituzione che, dal 1945, affida alle Forze armate compiti di pura difesa. Di nuovo c’è un legame perverso con Hiroshima: quest’anno, per la prima volta, anche un rappresentante del Governo Usa era a commemorare la strage della prima bomba atomica. Più di un omaggio alle vittime, però, si è trattato di un omaggio alla nuova alleanza militare strategica che ha legato Washington e Tokyo: gli Usa incoraggiano il Giappone nell’opera di riarmo, lo riforniscono di nuovi ordigni e sistemi, in qualche modo lo incaricano di contenere la Cina. La quale, peraltro, con 121 miliardi di euro, ha stabilito anche il proprio nuovo record di spesa per la Difesa, che comprende 400 testate nucleari di cui 250 attive.Se il Pacifico piange e l’Asia pure (India e Pakistan sono accreditate di circa 100 testate ciascuno ed entrambi hanno rifiutato di aderire al Trattato per la non proliferazione nucleare), l’Europa non ride: la Francia dispone ancora di 300 testate (il che fa di lei il terzo Paese nucleare al mondo) e la Gran Bretagna di 225, il punto-base raggiunto appunto dopo la riduzione degli anni Novanta. Gli Usa, per parte loro, hanno da poco varato un programma di ammodernamento dell’arsenale nucleare che nei prossimi trent’anni li porterà a investire un trilione di dollari.Al di là delle graduatorie e delle cifre, colpisce lo stato d’animo collettivo. Basta osservare le polemiche che sono seguite all’accordo sul nucleare stipulato con l’Iran dal cosiddetto "5+1" (Usa, Francia, Gran Bretagna, Russia, Cina e Germania). Un patto che, comunque lo si giudichi, limita fortemente le possibilità di ottenere l’arma atomica per un Paese discusso, accusato di sostenere il terrorismo e da molti ritenuto prossimo alla bomba, è stato accolto da parti importanti dell’opinione pubblica mondiale (e della superpotenza americana) come un disastro, una sconfitta, una resa. Si diffonde una sempre crescente fiducia nel potere delle armi persino nelle regioni che dovrebbero avere amarissimamente appreso la lezione opposta.Proprio quest’anno l’Arabia Saudita (meno di 29 milioni di abitanti) è diventata il maggior compratore mondiale di armi, superando e staccando l’India (1 miliardo e 250 milioni di abitanti) che deteneva il primato. Gli analisti di Jane’s, la rivista inglese specializzata in questi temi, hanno calcolato che quest’anno ogni 7 dollari spesi nel mondo per le armi, uno verrà dai sauditi. I quali, insieme con gli Emirati Arabi Uniti (9 milioni di abitanti), investono in armamenti più di quanto faccia l’intera Europa. Inutile dire che con questi soldi potrebbero essere compiute ben altre imprese. Ancor più inutile dire che non è questa la lezione che da settant’anni ci trasmettono Hiroshima e Nahasaki.